24 OTTBRE 2020 CELEBRATO IL XIX CONGRESSO DELLA DC ( il primo valido dal 1994, dopo due tentativi: 12 nov. 2012 e 18 ott, 2018 )
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DEMOCRAZIA CRISTIANA
Già Sede in Roma, Piazza del Gesù, 46 - Sede attuale Bologna, Via Titta Ruffo, 7 - CODICE FISCALE 80198590582 (del 01.01.1980) - RAPPRESENTANZA LEGALE

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Decreto di accoglimento, del Tribunale Civile di Roma, Sez. III, per la ri-convocazione della Assemblea dei soci, il 25/26 feb. 2017, dopo lo "scioglimento" nel 1994

SITO UFFICIALE DELLA DC
STORICAMENTE E GIURIDICAMENTE LA MEDESIMA, IN ITALIA, DEL 1994

Nino Luciani, Segretario Politico Nazionale, Direttore Responsabile del sito internet
Tel. 347 9470152 - Email: nino.luciani@libero.it
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INTERVISTA A "IL CORRIERE DELLA SERA", SABATO 27 MARZO 2021
Clicca su:
Dc, Nino Luciani a 83 anni ha vinto in tribunale
( Avvertenza: Se non si apre la pagina, scrivere su Google: Dc, Nino Luciani a 83 anni ha vinto in tribunale, corriere )

 

EUROPA
Quale UE ?

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Nino Luciani

PER UNA EUROPA PIU' UNITA e PIU' GRANDE --- PER UNA EUROPA PIU' UNITA e PIU' GRANDE
 

 

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I  PASSAGGI
DEL RITORNO

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Decreto di accoglimento

 

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Cav. Romualdo De Simone,
COORDINATORE DELLA REGIONE PUGLIA

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Cav. Vittiorio Adelfi,
COORDINATORE DELLA REGIONE CAMPANIA

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CANDIDATO della DC Dr. GIORGIO TRENTI
per il CONSIGLIO COMUNALE

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MASSIMO ROCCHITTA
Lavoratori poveri

 

Decre.to Tribunale Civile di Roma, Assemblea dei soci DC,
prima dal 1994

Cattilicesimo
Politico
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EUROPA
Quale UE ?

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La nuova DC :
Massimo De Leonardis,

L'Italia sempre di più in uno stato di stress idrico

ELEZIONI EUROPEE

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COMMISSIONE
PER L' ESAME DEI CANDIDATI  PER LE ELEZIONI EUROPEE

Segretario Perito ENDO GIARIN

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Per una legge di riclassificazione
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QUALE NUOVA "UNIONE EUROPEA"

 

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Sei   anni dopo il 60º Anniversario dei Trattati di Roma,25.3.2017 - Consilium : 

"La dichiarazione di Roma dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo,
del Parlamento europeo e della Commissione europea".
PROGETTO di nuova UE-UNIONE EUROPEA
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Nino Luciani, La possibile BASE POLITICA ED ECONOMICA
per una NUOVA UNIONE EUROPEA

Cosa disse MACRON alla SORBONA (università di Parigi, 2017)
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Nota. 
In questo studio mi propongo di delineare un progetto di Unione Europea con poteri fiscali e di spesa per compiti di interesse generale europeo.
Questo progetto ipotizza il trasferimento di poteri fiscali statali a livello UE (oggi: dazi all'import; percentuale dell'IVA degli Stati) e ciò crea le condizioni per completare il trasferimento del potere monetario europeo, per quanto riguarda il coordinamento tra potere fiscale e potere monetario.
Precisamente (cosa non trattata qui), nella nuova situazione la BCE dovrebbe poter essere banchiere di ultima istanza nei confronti del Tesoro UE;  e il Tesoro UE dovrebbe potere aver rapporti finanziari con quello dei singoli Stati, come oggi avviene normalmente tra gli Stati nazionali ed i rispettivi enti locali.

Sintesi dei temi considerati dal Presidente francese Macron per la nuova UE
(Alla Sorbona 27 sett. 2017)

- Bilancio più forte nel cuore della zona euro - investimenti comuni (superministro) - eurozona sottoposta a un controllo democratico" (Parlamento ad hoc) - budget non per mutualizzare i debiti pubblici accumulati dai singoli Paesi"- immigrazione - difesa "una forza militare comune d'intervento" con budget comune di difesa progressivo - accademia europea di intelligence - procura europea anti-terrorismo - protezione civile per rispondere a catastrofi come i terremoti e le inondazioni" - immigrazione - polizia europea delle frontiere - un ufficio Difesa - università europee - tassa sulle emissioni di gas serra - tribunale europeo - agenzia per l'innovazione - budget per gli investimenti dell'eurozona - tassa europea sulle transazioni finanziarie destinata allo sviluppo dell'Africa europeo dell'asilo politico - stesse regole per le imprese, il diritto degli affari e i fallimenti.

A titolo esemplificativo: i Ministeri in Italia. Quali esportare a livello in UE ?

- Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale  - Beni e delle Attività Culturali e del Turismo  - Politiche Sociali - Difesa  - Giustizia - Salute  - Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare - Infrastrutture e dei Trasporti  - Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Economia e delle Finanze - Interno  - Università e della Ricerca - Sviluppo Economico  - Affari regionali - Coesione territoriale e il Mezzogiorno - Sport.

SOTTO : 
UN PROSPETTO IDENTIFICATIVO DI COMPITI E DI MINiSTERI EUROPEI
A PARTIRE DALLA DICHIARAZIONE DI ROMA (25 marzo 2017)
E DALLA ATTUALE STRUTTURA AMMINISTRATIVA  DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Nel 60º Anniversario dei Trattati di Roma, 25.3.2017 - Consilium

La dichiarazione di Roma
dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell'UE, siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall'Unione europea: la costruzione dell'unità europea è un'impresa coraggiosa e lungimirante.
Sessanta anni fa, superando la tragedia di due conflitti mondiali, abbiamo deciso di unirci e di ricostruire il continente dalle sue ceneri. Abbiamo creato un'Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare.

L'unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti. Fino a che l'Europa non è stata di nuovo una. Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un'Unione allargata che ha superato le antiche divisioni.

L'Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche. Insieme, siamo determinati ad affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento e a offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità.
Renderemo l'Unione europea più forte e più resiliente, attraverso un'unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L'unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni.
Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile.
Per il prossimo decennio vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un'Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un'Unione che resti aperta a quei paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli.

In questi tempi di cambiamenti, e consapevoli delle preoccupazioni dei nostri cittadini, sosteniamo il programma di Roma e ci impegniamo ad adoperarci per realizzare:
1. Un' Europa sicura: un'Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un'Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.
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2. Un' Europa prospera e sostenibile: un'Unione che generi crescita e occupazione; un'Unione in cui un mercato unico forte, connesso e in espansione, che faccia proprie le evoluzioni tecnologiche, e una moneta unica stabile e ancora più forte creino opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese; un'Unione che promuova una crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e che si adoperi per il completamento dell'Unione economica e monetaria; un'Unione in cui le economie convergano; un'Unione in cui l'energia sia sicura e conveniente e l'ambiente pulito e protetto.
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3. Un' Europa sociale: un'Unione che, sulla base di una crescita sostenibile,favorisca il progressoeconomico e sociale,nonchéla coesione elaconvergenza, difendendo nelcontempo l'integritàdel mercato interno; un'Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle partisociali; un'Unioneche promuova la parità tra donne e uomini ediritti epari opportunità per tutti; un'Unioneche lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà; un'Unionein cui i giovani ricevano l'istruzione e la formazionemigliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente; un'Unione che preservi il nostro patrimonio culturalee promuova la diversità culturale.
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4. Un' Europa più forte sulla scena mondiale: un'Unione che sviluppi ulteriormente i partenariati esistenti e al tempo stesso ne crei di nuovi e promuovala stabilità e la prosperitànel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l'Africa e nel mondo; un' Unione pronta ad assumersi maggiori responsabilità e a contribuire alla creazione diun'industria della difesapiùcompetitiva eintegrata; un'Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazionee complementarità con l'Organizzazione delTrattato del Nord Atlantico, tenendo conto degli impegni giuridici e delle situazioni nazionali; un' Unione attiva in seno alle Nazioni Unite che difendaun sistema multilaterale disciplinato daregole, che sia orgogliosa dei propri valori e protettiva nei confronti dei propri cittadini, chepromuova un commercio libero ed equo e una politica climaticaglobale positiva.

Perseguiremo questi obiettivi, fermi nellaconvinzione che ilfuturo dell'Europaè nelle nostre manie che l'Unioneeuropeaè ilmigliore strumento perconseguire inostriobiettivi. Ci impegniamo a dareascolto e risposte alle preoccupazioniespressedai nostri cittadini edialogheremo coni parlamenti nazionali. Collaboreremoa livello di Unioneeuropea, nazionale, regionale o locale perfare davvero ladifferenza, in uno spiritodi fiduciae di lealecooperazione, sia tragli Stati membri che tra diessie le istituzioni dell'UE, nel rispetto del principio di sussidiarietà.Lasceremo ai diversi livelli decisionali sufficiente margine di manovra perrafforzare il potenziale di innovazione e crescita dell'Europa. Vogliamo che l'Unione sia grande sulle grandi questionie piccolasullepiccole.Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace e trasparente, e risultatimigliori.
Noi leader, lavorando insieme nell'ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni, faremo sì che ilprogramma di oggi sia attuato e divenga cosìlarealtà di domani.Ci siamo uniti per un buon fine.
L'Europa è il nostro futuro comune.

Nino Luciani, Uno schema di nuova  UE

1.- Verso quale UE si potrebbe andare. L'Ipotesi è che in Europa si voglia andare verso uno stato federale: dunque ad uno Stato europeo Centrale che convive, in sovrapposizione, con 26 Stati locali.
  a) Il presupposto, delineato dalla scienza delle finanze, è che in un determinato territorio (Europa) esistano degli interessi generali europei e degli interessi differenziati degli Stati, per cui conviene che  lo Stato centrale federale provvedere al soddisfacimento dei bisogni di interesse generale; e che gli Stati provvedano differenziatamente a soddisfare i rispettivi bisogni differenziati..
  Corrispondentemente viene creato, rispettivamente, un sistema fiscale centrale federale e vengono creati n sistemi fiscali statali, quanti sono gli Stati.
  b) Una volta delineato lo schema di base (o di prima approssimazione), passo poi ad un integrarlo.
   Per un approccio di teoria generale, rinvio ad un mio studio, Federalismo fiscale, p. 499 http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf
  Esso, pur se ha come fulcro, l'Italia (Stato centrale, Regioni, Comuni) è largamente esportabile alla Europa. In luogo di Italia, leggi UE; in luogo di Regioni, leggi Stati; in luogo di Comuni, leggi Comuni, perchè ci sono in tutti gi Stati con una tradizione storica molto simile.
  Per quanto riguarda i bisogni di interesse generale, il fatto che che essi siano generali comporta che siano comuni a tutti. Per questo, anzichè gestirne l'amministrazione direttamente, può convenire che lo Stato centrale federale deleghi la relativa gestione agli Stati, dopo avere fissato gli obiettivi quantitativi, da attuare uniformemente in tutti gli Stati, e la dotazione dei congrui strumenti finanziari.
(Segnalo che la cosa non fa funzionato, tra Stato e Regioni, in Italia, tant'è che le sanità risultano diverse da Regione a Regione).

2.- Per quanto riguarda i sistemi fiscali , il criterio di prima approssimazione è che ad ogni livello di enti, corrisponda un rispettivo sistema fiscale.
  Ma questi sistemi a più livelli non sono neutrali tra i livelli di Stati (lo Stato centrale federale e gli Stati) perchè le persone, le merci, i capitali circolano tra i livelli di Stati.
  Va fatta attenzione anche al fatto che, a fronte di una molteplicità di Enti tassatori (in sovrapposizione), la tasca del contribuente è unica
  Questo fatto porta alla necessità di regolare le interferenze. Il modo ritenuto più corretto è che venga pensato un sistema fiscale unitario per la federazione, e al suo interno sia fatta una ripartizione delle imposte tra gli Stati. Ad es. quali imposte attribuire allo Stato centrale federale e quali agli Stati federati. (Questo fu il criterio della fondamenrale riforma fiscale Cosciani, per l'Italia).
  Sul piano pratico, tuttavia, qualcosa può non funzionare perchè gli imponibili delle identiche imposte nominali potrebbero essere diversi come sostanza.
  Nei confronti internazionali il PIL (Prodotto Interno Lordo) da prendere a riferimento è, di solito, quello al "costo dei fattori", vale dire calcolato al netto delle imposte indirette (dunque è pari al Valore aggiunto interno). Questo, però, può condurre a forti disparità, a seconda del peso relativo delle imposte indirette nei vari Stati e perchè, a dispetto dei sistemi di contabilità, non sempre le imposte indirette sono trasferibili sui prezzi finali.
  Suggerirei , fatto il calcolo della spesa pubblica della UE, che per il riparto del finanziamento siano presi a riferimento più imponibili: il PIL al costo dei fattori, la dimensione del territorio, le teste (popolazione).
  Lascerei perdere il valore dei beni finali di consumo, perchè rimettono in campo le imposte indirette e (per lIVA) tutto il gioco connesso  del carico sulle importazioni e dello scarico sulle esportazioni.
  A puro titolo di curiosità scientifica, voglio ricordare ho cercato di definire (a fianco della pressione fiscale, comunemente intesa) la "pressione fiscale internazionale". Chi vuole, clicchi http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf , p. 126. (Continua)

(continua ) 3.- Quale struttura amministrativa di una possibile nuova UE.  Su questa strada, non si parte da zero, perchè :
a) una parte (non pochissimo) si può trarre dalla struttura amministrativa già in essere nella UE;
b) una seconda parte si trae dalla  dichiarazione comune degli Stati, lo scorso anno (2017) , a Roma, in occasione del 60 anniversario della istituzione del MEC - Mercato Comune Europeo;
c) una terza parte si trae dalle anticipazioni di alcuni Leaders euopei, ad es. del Presidente francese Macron nel 2017 alla Sorbona di Parigi.
  Per un primo approccio qui sotto, parto dalle 4 voci della  dichiarazione comune dei paese UE (prima colonna), e vi associo associo (nella seconda colonna)  le voci ministeriali pertinenti (prese dal Governo Italiano) che, grosso modo, si ritrovano nei Governi degli altri Stati della UE.
  Nella terza collonna riporto l'elenco delle 53 voci amministrative già funzionanti presso la Commissione. Affido alla burocrazia della Commissione la attribuzione migliore di queste voci aii ministeri ipotizzati.

UN PROSPETTO IDENTIFICATIVO DI COMPITI E DI MINiSTERI EUROPEI

FUNZIONI ASSEGNATE ALLA UE
dalla Dichiarazione di Roma, 25.03.17

Ipotesi di denomimazioni di ministeri UE
per svolgere le 4 funzioni

Attuali amministrazioni UE,
da allocare dentro i ministeri

1) Una  Europa sicura; - un ministero della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico
2) Una Europa prospera e sostenibile;
- un ministero delle finanze e del bilancio (entrate fiscali e spesa pubblica);
- un ministero dell'ambiente (territorio e mare);
- un ministero dello sviluppo economico (infrastrutture e trasporti, terrestri e marittimi, di interesse europeo, fonti di energia, riequlibrio economico delle aree depresse);
3) Una Europa sociale
- un ministero della salute;
- un ministero della giustizia;
- un ministero della istruzione (università e ricerca);
4) Una Europa più forte sulla scena mondiale
- un ministero della difesa (con esercito in ambito atlantico);
- un ministero per gli affari esteri.

Strutture ammnistrative della Commissione:
- Totali 53 unità amministrative, di cui: 6 Agenzie, 31 Direzioni Generali (Dipartimenti), 16 Servizi .
________________________________________
1.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva del Consiglio europeo della ricerca
  2.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per i consumatori, la salute, l’agricoltura e la sicurezza alimentare
  3.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per la ricerca
  4.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per l'innovazione e le reti
  5.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura
  6.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per le piccole e medie imprese
  7.- DIREZIONE GENERALE - Affari economici e finanziari
  8.- DIREZIONE GENERALE - Affari marittimi e pesca
  9.- DIREZIONE GENERALE - Agricoltura e sviluppo rurale
10.- DIREZIONE GENERALE - Ambiente
11.- DIREZIONE GENERALE - Azione per il clima
12.- DIREZIONE GENERALE - Bilancio
13.- DIREZIONE GENERALE - Centro comune di ricerca
14.- DIREZIONE GENERALE - Commercio
15.- DIREZIONE GENERALE - Comunicazione
16.- DIREZIONE GENERALE - Concorrenza
17.- DIREZIONE GENERALE - Energia
18.- DIREZIONE GENERALE - Eurostat - Statistiche europee
19.- DIREZIONE GENERALE - Fiscalità e unione doganale
20.- DIREZIONE GENERALE - Giustizia e consumatori
21.- DIREZIONE GENERALE - Informatica
22.- DIREZIONE GENERALE - Interpretazione
23.- DIREZIONE GENERALE - Istruzione, gioventù, sport e cultura
24.- DIREZIONE GENERALE - Mercato interno, industria, imprenditoria e PMI
25.- DIREZIONE GENERALE - Mobilità e trasporti
26.- DIREZIONE GENERALE - Occupazione, affari sociali e inclusione
27.- DIREZIONE GENERALE - Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento
28.- DIREZIONE GENERALE - Politica regionale e urbana
29.- DIREZIONE GENERALE - Protezione civile e operazioni di aiuto umanitario europee
30.- DIREZIONE GENERALE - Ricerca e innovazione
31.- DIREZIONE GENERALE - Risorse umane e sicurezza
32.- DIREZIONE GENERALE - Salute e sicurezza alimentare
33.- DIREZIONE GENERALE - Stabilità finanziaria, servizi finanziari e Unione dei mercati dei capitali
34.- DIREZIONE GENERALE - Traduzione
35.- DIREZIONE GENERALE - Cooperazione internazionale e sviluppo
36.- DIREZIONE GENERALE - Migrazione e affari interni
37.- DIREZIONE GENERALE - Reti di comunicazione, contenuti e tecnologie
38.- SERVIZIO - Centro europeo di strategia politica
39.- SERVIZIO - Gestione e liquidazione dei diritti individuali
40.- SERVIZIO - Infrastrutture e logistica a Bruxelles
41.- SERVIZIO - Infrastrutture e logistica a Lussemburgo
42.- SERVIZIO - Responsabile della protezione dei dati
43.- SERVIZIO - Segretariato generale
44.- SERVIZIO - Servizio degli strumenti di politica estera
45.- SERVIZIO - Servizio dell'archivio storico
46.- SERVIZIO - Servizio di assistenza per le riforme strutturali
47.- SERVIZIO - Servizio giuridico
48.- SERVIZIO - Servizio interno di revisione
49.- SERVIZIO - Task force per la preparazione e lo svolgimento dei negoziati con il Regno Unito, art. 50 del TUE
50.- SERVIZIO - Ufficio delle pubblicazioni
51.- SERVIZIO - Ufficio europeo di selezione del personale
52.- SERVIZIO - Ufficio europeo per la lotta antifrode
53.- SERVIZIO - Biblioteca e Centro risorse elettroniche

***

CONVEGNO SUL CATTOLICESIMO POLITICO

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Girolamo ROSSI
Pontificia Università Angelicum

 

Gianfranco Pasquino
Emerito Università di Bologna

 

Nino Luciani
Università di Bologna

 

Enrico Bittoto
Sociologo e Saggista

 

Lino Goriup
Monsignore Arcidiocesi di Bologna

 

 

"Per la riforma dei partiti in Italia"

- Mons. LINO GORIUP, I partiti e la dottrina sociale della Chiesa Cattolica.
- Girolamo ROSSI, Lo scudo crociato nella comunicazione politica del '900.
- Nino LUCIANI, Motivazioni dei partiti: tra buon governo e affari.
Per il Finanziamento pubblico dei partiti, per una magistratura speciale sui partiti a garanzia dell'equilibrio costituzionale tra i tre grandi poteri dello Stato e per la tempestività delle sentenze; per la pubblicità interna dei verbali delle riunioni degli organi collegiali.

Nota. Al convegno erano stati invitati 29 associazioni e partiti di area centrista, 19 Vescovi della Emilia Romagna, il Presidente Nazionale della Azione Cattolica, il Vescovo Assistente Generale dell'Azione Cattolica.
Vi hanno partecipato due partiti (Democrazia Cristiana e Italia Moderata) e una trentina di persone, tra cui Mons. Oreste Leonardi, Rettore della Basilica di San Petronio .
Pubblichiamo le tre pervenute con testo scritto e la lettera ai Vescovi
- Mons. Lino Goriup, Professore di Ontologia dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Bologna e di Storia della Filosofia Antica e Medievale presso la Facoltà Teologica dell'E.R.
Pubblicazioni: Il rischio è bello, La sfida educativa tra ragione, fede e testimonianza della verità (pp. 320), ed. ESD - Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2010
- Girolamo Rossi, Docente di Teoria e tecnica della comunicazione politica, Pontificia Università San Tommaso d'Aquino - Angelicum, Roma.
Pubblicazioni: G. ROSSI, Lo scudo crociato (pp. 238), Armando Editore, 2014, redazione@armando.it .
- Nino Luciani, Professore Ordinario di Scienza delle Finanze, università.
- Per la Lettera ai Vescovi, clicca su Vescovi
.

LINO GORIUP, I partiti e la dottrina sociale della Chiesa Cattolica

Dividerò la mia riflessione in tre parti: 1. - Una esposizione minima del pensiero della Chiesa Cattolica sul tema in questione, riferendomi ad un testo particolarmente autorevole del magistero della Chiesa sulla natura e funzione dei partiti nella vita politica (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, abbreviato CDS); 2. - Una meditazione su alcune generali trasformazioni culturali in corso (e un'ipotesi sulle loro radici); 3. - Una personale proposta positiva (culturale e politica) di "nuova secolarità".
La riflessione dovrebbe iniziare da una disamina dell'uso dei termini laico e laicità, alla luce del concreto sviluppo delle vicende storiche e politiche dell' Italia negli ultimi due secoli1; avremmo la netta percezione di una progressiva "deriva semantica" che rende i termini summenzionati ormai non più utilizzabili in senso univoco, impedendo di fatto dialoghi costruttivi e sensati. La necessaria brevità del mio intervento non ci permette di approfondire tale serie di considerazioni; voglio tuttavia precisare che da tempo preferisco parlare a riguardo, di secolarità, parendomi un termine decisamente meno compromesso e per certi versi più ricco e corretto. Richiamo ciò a modo di nota previa, solamente per attirare l'attenzione sulla difficoltà di affrontare il tema che mi è stato assegnato in termini ragionevolmente condivisibili in un contesto storico, ecclesiale e "politico" complesso come quello che stiamo vivendo.
2.- IL MAGISTERO DELLA CHIESA Rinvio per approfondimenti al capitolo quarto del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare dove vengono illustrati: - i principi fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa (bene comune, destinazione universale dei beni, sussidiarietà, partecipazione, solidarietà); - i valori fondamentali della vita sociale (verità, libertà e giustizia);             

CONTINUA1

Girolamo Rossi, Lo scudo crociato nella comunicazione politica del '900

1.- L'antropologo Claude Lévi-Strauss
parla degli animaltotemici come simboli checatturano totemici 

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come simboli che catturano l'attenzione non non perché rappresentino un qualcosa di "buono da mangiare" ma perché rappresentano un qualcosa di "buono da pensare". Colpiscono l'immaginazione perché sono raffigurazioni di creature concrete alle quali è tuttavia possibile associare un concetto astratto.
   Questo processo di significazione del segno totemico ha una sua componente razionale, che riguarda il "discorso" che il gruppo sociale può sviluppare intorno al simbolo, e una componente istintiva o irrazionale, che riguarda la risonanza che il simbolo stesso può avere nella psicologia profonda di ciascuna persona.
   Se un simbolo ha successo in ragione di quanto è "buono da pensare", allora anche i contrassegni politici hanno maggiore o minore fortuna in ragione dei significati che in essi possiamo leggere, dei concetti che sanno evocare, delle risonanze emotive che possono avere in noi.
   Lo scudo crociato è senza dubbio - in questa prospettiva - un segno buono da pensare, perché presenta una fenomenologia straordinaria: ha retto come simbolo del partito dei cattolici italiani per quasi un secolo, ha segnato grandi affermazioni elettorali già dal suo esordio nel 1919 come contrassegno del neonato Partito Popolare di Luigi Sturzo, e si è confermato ancora vincente nelle consultazioni politiche del 1946 e poi in quelle del 1948 come simbolo della nuova Democrazia Cristiana. Ha funzionato come emblema della lotta contro le truppe nazifasciste (impresso sui fazzoletti delle brigate partigiane cattoliche), e ha funzionato altrettanto bene come contrassegno del partito di governo, per certi aspetti simbolo stesso delle istituzioni, negli anni della ricostruzione.                                
CONTINUA2
NINO LUCIANI, Sulle motivazioni dei partiti: partiti del buon governo e partiti d'affari. Finanziamento pubblico  e  magistratura speciale per i partiti, a garanzia dell'equilibrio costituzionale tra i tre grandi poteri dello Stato e per la tempestività delle sentenze. Obbligo di verbalizzazione delle riunioni degli Organi Collegiali e di pubblicità interna.

1.- Democrazia diretta e democrazia rappresentativa: ruolo dei partiti.

Secondo il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica1, par. 413 , "I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità . Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale". Secondo la Costituzione della Repubblica Italiana, art. 49, "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale In queste fonti normative, il ruolo dei partiti è di organizzare la partecipazione della società civile alle decisioni pubbliche, di norma, mediante forme di rappresentanza , costituite da persone del partito o proposte dal partito. Ma nella storia delle dottrine politiche, ci sono state: - le idee secondo cui il potere viene da Dio (creatore e intelligenza massima). In questa visione paternalistica: la persona che riceve la investitura da Dio (magari tramite un profeta, un vescovo, un papa) interpreta i bisogni della società civile e provvede a soddisfarli; - le idee secondo cui il potere viene dal popolo, in modo più o meno ristretto o ampio, a seconda delle varie culture dei popoli; in particolare, a seconda della espansione della scuola di massa e della informazione di massa.        CONTINUA3
Lino Goriup, I partiti e la dottrina sociale della Chiesa Cattolica.

1- PREMESSA.
Dividerò la mia riflessione in tre parti: 1. - Una esposizione minima del pensiero della Chiesa Cattolica sul tema in questione, riferendomi ad un testo particolarmente autorevole del magistero della Chiesa sulla natura e funzione dei partiti nella vita politica (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, abbreviato CDS); 2. - Una meditazione su alcune generali trasformazioni culturali in corso (e un'ipotesi sulle loro radici); 3. - Una personale proposta positiva (culturale e politica) di "nuova secolarità".
La riflessione dovrebbe iniziare da una disamina dell'uso dei termini laico e laicità, alla luce del concreto sviluppo delle vicende storiche e politiche dell' Italia negli ultimi due secoli1; avremmo la netta percezione di una progressiva "deriva semantica" che rende i termini summenzionati ormai non più utilizzabili in senso univoco, impedendo di fatto dialoghi costruttivi e sensati. La necessaria brevità del mio intervento non ci permette di approfondire tale serie di considerazioni; voglio tuttavia precisare che da tempo preferisco parlare a riguardo, di secolarità, parendomi un termine decisamente meno compromesso e per certi versi più ricco e corretto. Richiamo ciò a modo di nota previa, solamente per attirare l'attenzione sulla difficoltà di affrontare il tema che mi è stato assegnato in termini ragionevolmente condivisibili in un contesto storico, ecclesiale e "politico" complesso come quello che stiamo vivendo.

2.- IL MAGISTERO DELLA CHIESA
Rinvio per approfondimenti al capitolo quarto del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare dove vengono illustrati: - i principi fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa (bene comune, destinazione universale dei beni, sussidiarietà, partecipazione, solidarietà); - i valori fondamentali della vita sociale (verità, libertà e giustizia); - e la complessità del loro vitale rapporto in ordine all'ideale rappresentato da ciò che viene indicato come la via della Carità. Leggiamo insieme solo il numero 413 del CDS (capitolo ottavo dedicato alla comunità politica) che tratta della natura e della funzione dei partiti in seno alla comunità politica [tralasciamo quanto il compendio dice del rapporto tra partiti e sindacati (n. 307), e della scelta di militanza da parte del cristiano in un partito (nn. 573-574), tema che affronteremo indirettamente nella riflessione finale].
413- I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità . Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale.

Più che di una spiegazione del testo - peraltro in sé estremamente chiaro -, abbiamo bisogno di una serie di domande da porci sulla sensata attualità di alcuni termini usati. Come "favorire una partecipazione diffusa" dei cittadini alla vita politica quando nella società civile prevale una decisa propensione al one man show del leader, quando aziende private (di consulenza in materia di strategie di rete o di network televisivi) influenzano e talvolta determinano il pensiero collettivo trasformandolo in mera opinione (il più delle volte distorta da fake news), quando il consenso elettorale è ormai determinato dal condizionamento delle passioni e non dall'uso condiviso delle facoltà superiori dell'uomo (ragione e libertà)? La figura del follower prevale ormai su quella del cittadino, e da protagonisti della vita politica e sociale del paese ci si è lasciati trasformare - con un raffinato esperimento di ingegneria sociale2 - in spettatori passivi di un grande reality show. L'interrogativo sulla "partecipazione diffusa" si estende a quello sulla "pubblica responsabilità" a cui tutti dovrebbero avere accesso. Il richiamo ideale alla democraticità interna ed esterna ai partiti, alla sintesi politica e progettualità, dovrebbe confrontarsi non solo con le nuove forme di interazione tra democrazia diretta e rappresentanza politica, ma anche e soprattutto con l'implicita e concreta messa in questione della democrazia come forma di governo. Il riconoscimento del compito specifico dei partiti di "interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune" pone seriamente l'interrogativo sulle modalità di azione politica in un tempo in cui non si interpretano le aspirazioni della società civile ma le si inducono, un tempo in cui si dubita seriamente dell'esistenza di un bene comune. Lo stesso uso del verbo orientare sembrerebbe peraltro tradire ancora una visione paternalistica del rapporto tra partiti e società civile. Molti problemi a cui si è qui fatto riferimento sono già intravisti dal CDS nel contesto del testo che abbiamo letto (nn. 406ss.): l'essenziale non automatismo del rapporto tra democrazia formalmente intesa e valori, la mancanza di spirito di servizio, la diffusa crescente corruzione, l'eccessiva burocratizzazione; al tema del rapporto tra informazione e democrazia il compendio dedica ben tre numeri (414-416). L'autorevole presentazione e i seguenti richiami da parte del CDS parrebbero ancora vincolati ad una lettura otto-novecentesca dello scenario socio-politico-antropologico suscitato dalla tardo-modernità.

3.- CONTESTI E TRASFORMAZIONI CULTURALI IN CORSO
La mancanza di analisi e di riflessione critica sul tempo nel quale si vive e si opera con gli altri, produce la riduzione della politica a problems solving. È necessario interpretare le mutazioni onto-antropologiche in atto dalla nascita della modernità ad oggi, per comprendere quale "declinazione" della politica (e non solo) si presenta a noi oggi. Solo intendendo da dove viene e verso dove sta andando la politica, comprenderemo se e come i partiti politici avranno un futuro (non solo in Italia). Per la mia analisi in questo intervento mi limiterò a indicare in nota i riferimenti bibliografici della mia riflessione, e per punti sintetici esporrò quanto ritengo importante richiamare all'attenzione di chi intenda pensare la politica del tempo che sta venendo:
1. - Perdita di significato della conoscenza sensibile e dell'evidenza (presunta onnipotenza della ragione e sua auto-eliminazione a vantaggio di passioni non più regolate dal giudizio);
2. - Sostituzione dei sensi con gli strumenti della tecnica (allargamento del mondo ma possibile sostituzione della realtà vitale con la costruzione di mondi prodotti dall'attività tecno-scientifica);
3. - Dalla sostituzione dei sensi con gli strumenti della tecno-scienza, alla creazione tecnica di una nuova umanità (transumanismo);
4. - Perdita di significato della "terra" (crisi della spazio-temporalità); desomatizzazione e detemporalizzazione del corpo umano attraverso l'uso compulsivo della digitalizzazione informatica in ambito comunicativo e della atopicizzazione del lavoro, con la conseguente nascita di un nuovo "spiritualismo" di natura neognostica;
5.- La perdita della realtà produce lo smarrimento del giudizio e della possibilità di comunicare (dissoluzione della possibilità di avere un mondo in comune e crisi mortale della fede naturale nella sua esistenza), con la conseguente trasformazione della comunicazione (informazione) in pragmatismo performativo;
6.- Ritardo nell'integrazione del pensiero con il nuovo paradigma scientifico emerso nel ventesimo secolo (teoria della relatività e meccanica quantistica): teoremi di incompletezza di Gödel, teoria dell'informazione da Shannon in poi, conseguenze filosofiche del principio di indeterminazione di Heisenberg, non località della fisica quantistica, ruolo determinante dell'osservatore nella misurazione /conoscenza del reale;
7.- Prdita della possibilità di qualunque fede e appartenenza3.

È interessante notare una certa analogia tra le mutazioni in corso a causa della globalizzazione (culturale, comunicativa, economica) e le trasformazioni avvenute nell'oikumene tra quarto-terzo secolo avanti Cristo e quarto secolo dopo Cristo (crisi delle forme di corresponsabilità del governo, progressivo affermarsi dell'universalismo cosmopolitico e parallela nascita di un pensiero e di un ethos soggettivistici e impolitici).

Come in tutti i ricorsi storici, è possibile notare le analogie e le profonde differenze.
- Tra queste ultime, la prima riguarda la coscienza del processo in corso: lo scetticismo pirroniano, lo stoicismo, l'epicureismo, come i più diffusi e popolari culti misterici di Mitra, Orfeo e Cibele, pur riconsegnando la ricerca del senso dell'esistenza al singolo rinchiudendolo in un significativo privatismo, non erodevano alla radice la fiducia nella realtà e nell'esistenza stessa di un senso dell'esistenza, così come è accaduto in Occidente negli ultimi cinquecento anni a motivo del "più inquietante fra tutti gli ospiti", il nichilismo (Nietzsche).
- La seconda differenza sta nella attuale straordinaria potenza tecnica dei mezzi a disposizione dell'umanità e quindi del potere (sia esso politico, culturale o economico) - conseguenza più o meno diretta dello stesso nichilismo - che rende i processi trasformativi particolarmente accelerati, diffusi e pervasivi.
- La terza differenza sta nell'apparizione, nel corso del ventesimo secolo, del fenomeno assolutamente nuovo del totalitarismo, del tutto imparagonabile al dispotismo assoluto e autocratico di qualunque imperatore dell'antichità (Arendt).

Ci è consegnato, nella tardo-modernità, il tempo nel quale possiamo conoscere l'impossibilità teorica e pratica della democrazia.
  Il presentarsi del totalitarismo non un'ineluttabile necessità ma una ormai tragica possibilità dalla quale, d'ora in avanti, possiamo difenderci o alla quale possiamo abbandonarci per rassegnazione o scarsa consapevolezza.
Ho parlato di una possibile nichilistica e totalitaria impossibilità teorica e pratica della democrazia, a motivo dell'inutilità della stessa partecipazione alla vita comune dal momento che non esiste più vita comune ma semplice accostamento di individui sui quali praticare il più totale controllo e i più vari esperimenti di ingegneria sociale4.
L'aspetto più inquietante della nostra condizione è che chi pratica tali esperimenti è parte degli stessi perché ne produce la "verità": è l'inveramento pratico del più perfetto hegelismo5.
Non esiste più bene comune perché non si dà più né bene né male, non esiste politica perché non c'è più polis, non esiste impegno pubblico perché non si conosce più distinzione tra pubblico e privato, e si agisce solo su masse di individui caratterizzati da uno specifico tipo di metafisico isolamento.    Ripeto: non siamo ancora definitivamente precipitati in tutto ciò (anche se i segnali dell'inizio di un nuovo abisso totalitario sono innumerevoli e seriamente preoccupanti) e non siamo destinati o determinati a finirci; è una tragica, incombente possibilità che possiamo scongiurare, anche se a questo punto credo possa costare molto, al mondo intero.

4.- UNA "NUOVA SECOLARITÀ"
Non posso esimermi dal proporre, in qualche forma, una sorta di pars construens del mio intervento. Per non apparire ciò che non sono, ovvero uno dei fin troppi ipercritici snob che discettano sulla crisi della modernità senza trarre dall'analisi spunti per la ripartenza di una convivenza degna dell'uomo, di un pensiero che riconsegni a ciascuno di noi speranza.
Con la crisi dell'antico internazionalismo à la gauche, il "vincente" pensiero liberista, dopo il 1989, ha imposto (culturalmente, prima che finanziariamente) le "magnifiche sorti e progressive" della globalizzazione, senza considerare l'effetto onda che un'eventuale distorta connessione tra singolo e comunità, tra identità nazionali e necessaria cooperazione fra popoli, tra lavoro e finanza, tra risparmio e investimenti, tra fenomeni microeconomici e macroeconomia, avrebbe inevitabilmente prodotto. Bisogna considerare che tutto ciò è avvenuto in un contesto storico e culturale come quello da me poco sopra tratteggiato; l'effetto conclusivo, cioè la nostra attuale situazione complessiva, è sotto gli occhi di tutti.
Prima di descrivere, anche solo sommariamente, le prospettive positive che immagino, vorrei aggiungere un'ulteriore premessa.
In ambito ecclesiale, per il misterioso e provvidenziale intervento dello Spirito attraverso la celebrazione del Concilio Vaticano II e la successiva risonanza teologica e vitale della comunità dei credenti a tale evento, si sono sviluppati e stanno crescendo - nella varietà di risposte, talvolta caotica come è proprio della concreta esistenza nel tempo del Popolo di Dio - germi di novità non ancora formalizzati ed espressi ordinatamente e coscientemente dal Magistero; se, come abbiamo notato, le indicazioni pubbliche e ufficiali dell'Insegnamento autorevole della Chiesa sono parzialmente in ritardo sui tempi che viviamo, la vita della Sposa santa dell'Agnello è già pronta ad entrare nel nuovo "eone" preparato dalla misteriosa sinergia tra libertà umana e azione dello Spirit6o6.

Non penso a future teocrazie, ma a un servizio profetico e secolare di testimonianza della Chiesa in ordine alla manifestazione di un nuovo umanesimo capace di suscitare forme rinnovate di convivenza umana nella pace. Per brevità, sintetizzo la mia proposta in due parole: nuovo radicamento. La necessità di ricollocarsi nella realtà impone un'azione che privilegi l'esperienza sensoriale primaria piuttosto che la virtualità digitale, probabilmente attraversando anche periodi e situazioni di disconnessione parziale o completa dal web7: agire "politicamente" per riappropriarsi dello spazio, del tempo e del corpo, rivalorizzando la località della nostra presenza nell'esistenza sperimentata come entangled8 con l'unitotalità creata (quindi incompleta9).
La presenza "politica" dei soggetti personali e comunitari deve passare dall'attuale onnipresente visibilità virtuale alla reale presenza, anche apparentemente invisibile perché non più rappresentata nei luoghi della virtualità digitale. Si può semplificare in questi termini: imparare ad essere realmente presenti, non apparendo tali al contesto in cui solo l'inesistente è reale10. Si tratta di assumere l'incompletezza del creato come compito, come possibilità della concreazione di un mondo umano nel progetto originario dove Bene e libertà sono già perfettamente integrati nel Mistero. Personalmente ritengo che solo in questi termini sia possibile ricostruire lo spazio politico eliminato dall'avvento della massa e riappropriarsi della distinzione tra pubblico (politico) e privato (vitale).

Ritornando al senso profondo del mio intervento, penso di poter proporre alcuni elementi di riflessione a chi desideri partecipare, concretamente e in maniera organizzata, alla vita politica dell' Italia oggi.
La parola partito richiama etimologicamente il termine parte. Come può una parte sentirsi vocata al bene del tutto? Solo prendendo coscienza che nella parte si trova il tutto nella forma dell'assenza-presente, e che si può vivere l'assenza in senso simbolico quindi qualitativo e non quantitativo.
La parte è, in quanto parte, già tutto, se prende consapevolezza del fatto che in essa vive - direi quasi "quantisticamente" - ciò che accade anagogicamente nel tutto. I frattali dovrebbero insegnare qualcosa11.
Un "partito" potrebbe vivere la località del suo autonomo radicamento territoriale, nella prospettiva della apparentemente invisibile non-località: nessun centralismo, nessun partito-massa, ma una confederazione di aggregazioni autonome di cittadini che liberamente si impegnano dove vivono, per rendere sensata la loro vita comune.
La separazione degli interessi privati da quelli pubblici, identificando la differenza di natura tra essi, permette la presa di coscienza del fatto che il vero interesse di parte (se parte di un tutto), è l'interesse del tutto; ogni organismo vivente è organizzato così.
La riflessione inclina inevitabilmente alla considerazione del federalismo come ormai inevitabile destino di ogni futuro progetto di fondazione o riforma dei soggetti politici, partitici o statuali o internazionali che siano; sempre considerando - e non sempre lo si è fatto con onestà intellettuale e coerenza - la sostanziale e dirimente differenza esistente tra federazione e confederazione, dove - nel contesto storico e culturale sopra descritto - la seconda è da preferire, se si privilegia un sistema con relativa maggiore libertà amministrativa locale. Per il cristiano credente, la partecipazione vitale al Mistero cosmico di salvezza nella propria concreta comunità diviene evento personale ed ecclesiale di redenzione e, al contempo, "palestra" di addestramento per nuove forme di presenza secolare dei laici nella società civile. La coltivazione accurata dell'amicizia civile come valore resta permanentemente il percorso educativo attraverso cui la presenza/assenza del credente nella società può esercitare con forza il proprio compito testimoniale12.
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1. Cfr. G.Biffi, Risorgimento, Stato laico e identità nazionale, Piemme, Casale Monferrato 1999.

2. Era possibile cogliere i prodromi della trasformazione in corso fin dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, cf.P.P.Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli); id., Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976 (con un'introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003).  

3. Cf. H.Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1997; id., Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Torino 1999; id., La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987; id., L'umanità in tempi bui, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006. Particolarmente interessanti, anche se non tutte pienamente condivisibili, le riflessioni del volume collettaneo curato da Massimo Recalcati, cf. Aa.vv., Forme contemporanee del totalitarismo, a cura di Massimo Recalcati, Bollati Boringhieri, Torino 2007. Sul transumanismo, è di particolare interesse la lettura del catalogo della mostra HUMAN+. IL FUTURO DELLA NOSTRA SPECIE, curata da Cathrine Kramer, promossa dall'Assessorato alla Crescita culturale del Comune di Roma, ideata dalla Science Gallery at Trinity College Dublin e presentata al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 27 febbraio al 1 luglio 2018 (cf. HUMAN+. IL FUTURO DELLA NOSTRA SPECIE, Azienda Speciale Palaexpo, Roma 2018).

4. Cf. W.Sofsky, L'ordine del terrore, Laterza Editrice, Roma-Bari 2004; id., In difesa del privato, Einaudi, Torino 2010. Credo che la visione del film tedesco L'onda (2008) del regista Dennis Gansel, sia una ottima presentazione delle modalità con cui, senza banali riferimenti al passato, sia possibile “creare” sempre nuove forme di totalitarismo. Non vedo il pericolo della rinascita del fascismo – se poi il fascismo sia stato totalitario o dispotico, è questione da discutere – in pur squallide ed esecrabili manifestazioni di nostalgici disadattati (giovani o anziani che siano), ma nel diffuso, quieto, elegante e banale precipitare nell'anaffettiva inconsapevolezza e indifferenza di fronte al male; consiglio a riguardo sia la visione del documentario Uno specialista. Ritratto di un criminale moderno (ISRAELE-FRANCIA-GERMANIA-AUSTRIA-BELGIO 1999) del regista Eyal Sivan, che la lettura di H.Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano 1999.

5. Cf. G.W.F.Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, a cura di Maurizio Pagano, SEI, Torino 1980. Nessuno, in ambito letterario, ha colto la dimensione nichilista, totalitaria e autodistruttiva dello sperimentalismo esistenziale meglio di Fëdor Michajlovic Dostoevskij nella creazione del suo Nikolaj (Nikolas) Vsevolodovic Stavrogin, cf. F.M.Dostoevskij, I demoni, traduzione di Giovanni Buttafava, Introduzione di Pietro Citati, Milano, BUR, 1981-2001.

6. Penso a futuri inserimenti, all'interno della Dottrina Sociale della Chiesa, dei contenuti e delle prospettive indicate da papa Benedetto XVI e papa Francesco (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 25 dicembre 2005; Francesco, Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013). Personalmente ritengo che l'insegnamento conciliare del Vaticano II sulla soprannaturale natura organica della connessione tra Chiesa locale e Chiesa universale possa essere uno stimolo straordinario per la riflessione sulla configurazione di nuove modalità di convivenza umana (cf. Sacrosantum Concilium 41; Lumen Gentium nn. 23 e 26).

7. L'utilizzo di media freddi piuttosto che di quelli caldi, potrebbe essere in tali contesti assolutamente preferibile per un riavvicinamento dei soggetti al sé reale e alle cose, cf. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967, pp. 31-33.

8. Per un primo approccio alla summenzionata problematica dell'integrazione del nuovo paradigma scientifico con la psicologia e l'antropologia filosofica, cf. B.Rosenblum – F.Kuttner, Quantum Enigma. Physics Encounters Consciousness, Oxford University Press, New York 2011 [trad. it. L'enigma quantico. Quando la fisica incontra la coscienza, Macro, Cesena (FC) 2017]. Sull'entanglement, cf. Aczel Amir D., Entanglement. Il più grande mistero della fisica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004; Quantum entanglement and information, Stanford Encyclopedia of Philosophy,   https : //pla to.s tanf ord.edu/entr ies /q t -e nt angle/  .

9. Sul recupero, in sede filosofica e teologica, della nozione di unitotalità anagogica, già intuita dai filosofi presocratici, cf. V.Solov'ëv, I fondamenti spirituali della vita, Marietti, Torino 1949; G.Biffi, Canto nuziale. Esercitazione di teologia anagogica, Jaca Book, Milano 2000; L. Goriup, Il tempo di un concerto, in Aa.vv., Homo vivens. Possibilità di convivenza, a cura di Lino Goriup, CLUEB, Bologna 2017, pp.135-152.

10. Sorprendente è la riflessione di Giorgio Agamben sulla scomparsa di E. Majorana nella prospettiva di una sparizione volontaria del grande fisico italiano intesa come forma comunicativa della presenza nell'assenza assunta qualitativamente e non solo quantitativamente (fisicamente), cf. G. Agamben, Che cos'è reale? La scomparsa di Majorana, Neri Pozza Editore, Vicenza 2016. Tale riflessione sviluppa coerentemente il pensiero complessivo di Agamben sull'homo sacer e sull'avvento della testimonialità, cf. G.Agamben, Homo sacer. Edizione integrale, Quaderni Quodlibet, Macerata 2018. Non sempre pienamente condivisibili, gli sviluppi del pensiero di Agamben sono stimolanti anche per una riflessione politica, teologica ed ecclesiale; la condizione del dimesso e/o del dimissionario come testimone della reale condizione umana e cristiana (insegnamento di carattere testimoniale delle dimissioni di papa Benedetto XVI?) apre possibilità inedite di interpretazione di vari passi della Scrittura ed eventi salvifici (cf. L. Goriup, Il rischio è bello. La sfida educativa tra fede, ragione e testimonianza, ESD, Bologna 2010).

11. Di notevole interesse la riflessione di papa Francesco a riguardo, cf. Evangelii Gaudium, nn.234-237.

12. Cf. CDS, 390: “Il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall'elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull'amicizia civile e sulla fraternità. Il campo del diritto, infatti, è quello dell'interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell'amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell'altro. L'amicizia civile, così intesa, è l'attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza. Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell'influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche.”

Girolamo Rossi, Lo scudo crociato nella comunicazione politica del '900

1.- L'antropologo Claude Lévi-Strauss parla degli animali totemici come simboli che catturano l'attenzione non perché rappresentino un qualcosa di "buono da mangiare" ma perché rappresentano un qualcosa di "buono da pensare". Colpiscono l'immaginazione perché sono raffigurazioni di creature concrete alle quali è tuttavia possibile associare un concetto astratto.
   Questo processo di significazione del segno totemico ha una sua componente razionale, che riguarda il "discorso" che il gruppo sociale può sviluppare intorno al simbolo, e una componente istintiva o irrazionale, che riguarda la risonanza che il simbolo stesso può avere nella psicologia profonda di ciascuna persona.
   Se un simbolo ha successo in ragione di quanto è "buono da pensare", allora anche i contrassegni politici hanno maggiore o minore fortuna in ragione dei significati che in essi possiamo leggere, dei concetti che sanno evocare, delle risonanze emotive che possono avere in noi.
   Lo scudo crociato è senza dubbio - in questa prospettiva - un segno buono da pensare, perché presenta una fenomenologia straordinaria: ha retto come simbolo del partito dei cattolici italiani per quasi un secolo, ha segnato grandi affermazioni elettorali già dal suo esordio nel 1919 come contrassegno del neonato Partito Popolare di Luigi Sturzo, e si è confermato ancora vincente nelle consultazioni politiche del 1946 e poi in quelle del 1948 come simbolo della nuova Democrazia Cristiana. Ha funzionato come emblema della lotta contro le truppe nazifasciste (impresso sui fazzoletti delle brigate partigiane cattoliche), e ha funzionato altrettanto bene come contrassegno del partito di governo, per certi aspetti simbolo stesso delle istituzioni, negli anni della ricostruzione.
   Ma soprattutto è stato riconosciuto come la sintesi efficace, l'essenza stessa, del partito d'ispirazione cattolica da una base elettorale molto vasta, presente in ogni regione del Paese e composta da persone di diversa cultura e classe sociale. Simbolo dunque "buono", ma anche "facile da pensare" per la sua immediatezza e la sua forza espressiva. Nello scudo crociato confluiscono le antiche simbologie della croce e dello scudo che, molto prima del cristianesimo, hanno rappresentato dei punti di riferimento fondamentali proprio sul piano antropologico-culturale.
   Antica quanto la civiltà stessa (un sigillo con la croce in pietra ritrovato a Susa risale al terzo millennio avanti Cristo, altri simboli di croce, vedi ad esempio quelli rinvenuti a Creta, risalgono al XV secolo avanti Cristo) la croce simboleggia in molte culture la terra e il cielo, in quanto sistema di orientamento spaziale, e simboleggia la coesistenza nell'uomo della natura terrena data dall'elemento orizzontale e di quella spirituale data dall'elemento verticale.
   Per parte sua anche lo scudo costituisce un elemento di alto valore simbolico: arma di difesa per eccellenza, lo scudo è infatti uno schermo di protezione ma anche la superficie sulla quale è possibile rappresentare le figure che magicamente amplificano la forza del guerriero, e i concetti che ne ispirano l'azione (lo scudo di Achille presentava una raffigurazione dei campi coltivati, degli animali e del cielo, insomma dell'intero universo cui l'eroe sente di appartenere e che promette di difendere). Con l'avvento del cristianesimo la croce, nelle sue diverse forme, si arricchisce di un significato straordinario, tale da riassorbire l'intera simbologia precedente e da consentire un'interpretazione in chiave cristiana di tutti quei segni che in qualche modo possono essere accostati alla croce di Cristo (Giustino enumera le cosiddette "cruces dissimulatae" come l'aratro, l'albero della nave o l'ancora; ed Agostino parla di croci "ante litteram", che in qualche modo portano in sé la profezia dell'avvento del Cristo e quindi della croce per eccellenza).
   Anche lo scudo viene interpretato in chiave cristiana come allegoria della fede, ad esempio in San Paolo, che lo inserisce come parte dell'armatura del cristiano contro i dardi infuocati del peccato. Prima di essere simbolo politico, dunque, lo scudo crociato è un segno di guerra, il più perfetto fra i segni di guerra perché unisce all'efficacia militare la più alta valenza morale, quella della lotta in nome di Dio e della fede.

  Con la battaglia nel 312 di Costantino contro Massenzio - e la rivelazione "in hoc signo vinces" che aveva contrassegnato la campagna militare del futuro imperatore cristiano - la croce diviene per la Chiesa un simbolo anche di guerra, atto a celebrare la supremazia del Dio cristiano su qualsiasi altra divinità.
   Nell'Europa centrale, del resto, la difesa della cristianità diverrà necessariamente difesa militare, contro le minacce provenienti dalle regioni settentrionali e orientali del continente ad opera delle popolazioni barbare, e dalle regioni del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale ad opera dei musulmani. In occasione del Concilio di Clermont del 1095, Papa Urbano II promuove la prima crociata e raccomanda alle truppe in partenza per la Terra Santa di disegnare la croce sulle vesti e sulle armi così da sancire la natura santa dell'impresa (disegnata sugli scudi, la croce rappresenterà la figura stilizzata del guerriero stesso, disposto ad accettare nella sua "imitatio christi" il proprio destino di martirio e insieme di trionfo sul male); mentre la tradizione del colore rosso in campo bianco nascerà appena tre anni dopo con le vicende militari legate all'assedio di Antiochia (1098).
   Due storiografi, il primo dei quali è l'anonimo autore delle "Gesta Francorum", testimone diretto della campagna militare di Antiochia, e il secondo dei quali è Jacopo da Varagine, un monaco domenicano vissuto nel 1200, autore della "Legenda Aurea", riportano l'apparizione alle truppe dei crociati di San Giorgio in persona, alla testa di un esercito mandato dal cielo per aiutare i cristiani. Molti soldati avrebbero visto l'apparizione, e avrebbero visto il Santo portare la bianca armatura con una croce rossa disegnata sopra. La croce rossa in campo bianco, che già esisteva nel patrimonio iconico europeo (nel 1066 Papa Alessandro II aveva inviato a Guglielmo il Conquistatore prima della battaglia di Hastings la croce di San Giorgio denominata "Vexillum Sancti Petri"), si rafforza dunque nelle vicende delle crociate, per divenire nel 1118-19 il simbolo dell'Ordine dei Cavalieri Templari, e poi nel 1277 il vessillo ufficiale del Regno d'Inghilterra.

2.- La Croce di San Giorgio assume, in sostanza, la funzione di legittimare in senso religioso il potere politico, e riveste grande importanza anche nei contesti comunali e delle signorie locali.
    Lo storico Jir Lourda definisce un'ampia area compresa fra il Rodano e l'Istria come la "fascia delle croci", proprio per l'alto numero di città in essa comprese che adottano la croce come simbolo comunale e che si differenziano in epoca medievale per l'appartenenza guelfa - i Comuni fedeli al Papa, come ad esempio Milano, Genova, Alessandria, contrassegnati dalla croce di San Giorgio rossa in campo bianco - o l'appartenenza ghibellina - i Comuni fedeli all'Imperatore germanico come Como, Pisa ed altri contrassegnati, all'opposto, da una croce bianca in campo rosso-.
  La battaglia di Legnano, combattuta nel 1176 tra la Lega Lombarda appoggiata dal Papa e l'Imperatore Federico Barbarossa, assumerà nella cultura diffusa e nell'immaginario collettivo anche dei secoli successivi la connotazione di uno scontro di simboli (la croce di San Giorgio campeggia sul Carroccio), uno scontro nel quale il sodalizio fra l'esercito dei comuni italiani, mossi da un'istanza di autonomia e di libertà, e la Chiesa di Roma, la fusione di una motivazione politica con una spinta religiosa, risulteranno vittoriosi.

   Quando Luigi Sturzo costituisce il Partito Popolare nel 1919, la Croce di San Giorgio è dunque da secoli associata ai gonfaloni di molte città, è lo stesso simbolo che nel 1848 aveva accompagnato la rivolta delle Cinque Giornate a Milano non meno di quanto avesse fatto il Tricolore.
   La croce rossa in campo bianco, e in modo più specifico lo scudo crociato, resterà costantemente un simbolo guelfo, non soltanto per la sua tradizione storica ma anche per il contenuto che intrinsecamente continuerà ad esprimere, insieme confessionale e civile.
  Del resto la duplice valenza religiosa e insieme politica che questo simbolo racchiude è fonte d'ispirazione per una classe intellettuale che già dall'800 aveva idealizzato il medioevo (si pensi alla riscoperta del pensiero di San Tommaso e alle sue applicazioni in Leone XIII e nel pensiero sociale cristiano, si pensi a correnti culturali come quella animata da Agostino Gemelli agli inizi del '900 intorno alla "Rivista di filosofia neoscolastica", o al pensiero di Giuseppe Toniolo in ordine a quegli aspetti che fanno del medioevo un modello interessante sotto il profilo economico e sociale).
 
  Nel primo dopoguerra, terminata l'esperienza della Democrazia Cristiana di Romolo Murri, sperimentati i limiti politici di una partecipazione indiretta come quella realizzata con il Patto Gentiloni e di fronte alla crisi sociale che alimenta l'ascesa dei socialisti, si rende necessario un ritorno organizzato dei cattolici sulla scena politica. Il Partito Popolare di Luigi Sturzo rappresenta un fenomeno di grande portata, un fattore di rigenerazione del sistema che deve essere sottolineato anche simbolicamente.
  Già la denominazione di Partito Popolare rappresenta un elemento semantico importante, che vuole marcare la natura non confessionale del partito e la distanza dall'esperienza politica di Murri, inviso alla Gerarchia ecclesiastica e quindi bruciato dal punto di vista politico.
  Nell'estate del 1919 l'approssimarsi delle elezioni politiche rende urgente la definizione di una strategia elettorale e quindi anche l'adozione di elementi grafici che possano favorire l'identificazione del partito e suscitare negli aderenti un sentimento d'appartenenza; ma soprattutto è la nuova legge elettorale proporzionale, che prevede il voto di lista, a rendere necessario che ogni partito abbia un proprio simbolo stampato sulla scheda elettorale.
    Il 9 agosto del 1919 Filippo Meda, uno degli esponenti politici cattolici di maggior prestigio, scrive a Luigi Sturzo per aggiornarlo su questioni organizzative, e in quella circostanza pone la questione del contrassegno del partito.
   Filippo Meda informa il leader siciliano che il senatore Micheli, altro esponente cattolico di prestigio e già stretto collaboratore di Romolo Murri, aveva suggerito che il simbolo dovesse essere la "croce rossa", fatto che non vede d'accordo lo stesso Meda, convinto che il contrassegno non debba riportare alcun elemento di tipo confessionale.
   Come ulteriore contributo, Filippo Meda acclude alla lettera il disegno di una stella, che propone come simbolo per il nuovo partito cattolico. Coerenza avrebbe voluto che Luigi Sturzo, preoccupato anch'egli di dare alla nuova formazione politica una connotazione laica, facesse proprie le considerazioni di Meda adottando comunque - se non la stella, che identifica un'area semantica troppo ampia, sicuramente contaminata da valenze risorgimentali ed anche massoniche - un simbolo non confessionale.
  La scelta sarà invece sorprendente, quella appunto dello scudo crociato, con sopra scritta la parola "libertas", posta sul braccio orizzontale della croce probabilmente proprio per stemperare le valenze eccessivamente confessionali e guelfe che il simbolo di San Giorgio da solo avrebbe avuto. La scelta avrà successo, e il Partito avrà subito un'affermazione elettorale importante con ben cento seggi conquistati nelle consultazioni del novembre del 1919, imponendosi come la seconda forza politica del Paese dopo il Partito Socialista. Fin dai suoi esordi il simbolo viene gestito da Sturzo e dalla direzione del Partito con particolare sagacia.
Al popolo degli elettori deve comunicare nello stesso tempo la fedeltà ai valori della Chiesa, un forte sentimento civico, uno spirito battagliero che richiama ad una certa purezza medievale. Gli stessi elementi - in sostanza - che caratterizzano il percorso politico e l'esperienza personale di Luigi Sturzo, sacerdote fedele alla Chiesa e rispettoso della Gerarchia ecclesiastica, sostenitore del ruolo dei Comuni italiani come luoghi privilegiati della politica e interpreti di un'autonomia decisionale rispetto al potere centralizzato, legato infine proprio a quelle suggestioni medievali di forza, purezza e militanza che emergono con evidenza nella sua attività editoriale degli anni precedenti la costituzione del Partito (vedi in particolare la pubblicazione de "La croce di Costantino", periodico di carattere politico-sociale nel quale Sturzo firma gli editoriali con lo pseudonimo di "Il crociato" e dove si parla con enfasi della condizione del cristiano come di un milite che combatte agli ordini del Papa, unica guida per il popolo dei fedeli).
Nel presentare lo Scudo Crociato ai propri elettori Luigi Sturzo - d'accordo con la Santa Sede che la nuova formazione politica non debba assumere un carattere confessionale - terrà a specificare che non si tratta del simbolo dei crociati ma del simbolo degli antichi Comuni d'Italia, quelli che difesero la libertà nella Battaglia di Legnano (contro l'Imperatore) e nella battaglia di Lepanto (contro la flotta musulmana). In modo più esplicito e trasparente Stefano Jacini, primo storico del partito e testimone diretto dei fatti, scriverà che il simbolo prescelto altro non era se non quello degli "antichi comuni guelfi".
Nei pochi anni di vita del Partito Popolare, lo Scudo Crociato assolve in modo brillante la funzione di identificare un'area politica d'ispirazione cristiana, garante della libertà e della stabilità istituzionale e nello stesso tempo intransigente sulle questioni politiche di fondo, e sul giudizio storico nei confronti di progetti politici eversivi. Sarà tuttavia proprio il dibattito sull'atteggiamento da assumere di fronte al fascismo, che culmina nel congresso di Torino del 1923, ad indebolire il Partito di Sturzo, che patisce anche la presa di distanza della Santa Sede che in questo momento storico sceglie di dialogare con il Governo fascista negoziando il Concordato, utile per la Chiesa ma neccessario anche a Benito Mussolini per radicare il regime nella profonda tradizione religiosa del Paese prefigurando un assetto istituzionale che avrebbe visto nella città di Roma il centro del nuovo impero romano e nello stesso tempo della cristianità.
Dopo le dimissioni forzate di Sturzo e dopo lo scioglimento del Partito ad opera del regime fascista nel 1926, il simbolo dello Scudo Crociato viene ostracizzato. La soppressione del contrassegno politico avviene, del resto, in un clima di generale avversione del regime nei confronti dei simboli cristiani ove non usati in contesti prettamente religiosi e liturgici, compresa la croce dell'Azione Cattolica, che malgrado si ponga come organizzazione non politica e malgrado possa beneficiare di impegni formali da parte del Governo per il libero esercizio delle proprie attività (e per l'esposizione dei propri vessilli), viene vista come istituzione rivale del fascismo nell'educazione dei giovani e come rete comunque collegata a quella dell'ormai sciolto Partito Popolare.
Ancora più pesante l'ostilità del regime nel momento in cui Mussolini viene arrestato dal Re e poi liberato e nuovamente posto dai tedeschi al governo della Repubblica Sociale, in posizione subordinata rispetto al governo di Berlino e quindi condizionato da un'avversione dei nazisti nei confronti della Chiesa Cattolica sempre più profonda e manifesta. I simboli dello scudo crociato riappariranno dall'autunno del '43, esibiti da varie formazioni partigiane d'ispirazione cattolica impegnate sui fronti nordici, a conferma di un legame anche affettivo con la tradizione del Partito Popolare e con l'immaginario medievale che ne aveva accompagnato le fortune politiche.
Questo avviene in concomitanza con la fondazione e con l'insediamento a Roma del nuovo partito d'ispirazione cattolica, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, già attivo dal dicembre 1942 ma ancora senza un contrassegno politico che lo possa identificare. Il simbolo dello scudo crociato si diffonderà dunque spontaneamente, per libera iniziativa del popolo dei cattolici, a conferma della carica di significato che ancora porta con sé e che prescinde dalle direttive e dalla funzione esplicativa dei vertici del Partito.
Nella disposizione della Giunta Centrale della Democrazia Cristiana del giugno 1944 si legge: "In molte parti lo Scudo Crociato col motto "libertas" è stato spontaneamente assunto dai nostri aderenti come emblema del Partito. Assecondando tale moto spontaneo si è provveduto a coniare i distintivi…". La decisione, del resto, è consonante con la sensibilità di quella parte guelfa, minoritaria ma comunque influente, di esponenti politici che collabora con De Gasperi alla stesura del programma del nuovo partito e che annovera fra gli altri personalità come quelle di Malvestiti, Malavasi, Carcano Casò, Clerici, Grandi, Migliori, Nebuloni e Pullara.
Ed è coerente con la nuova sensibilità presente nella rete dell'Azione Cattolica, ora saldata con le strutture del nuovo partito e che - per singolare concomitanza - sceglierà come simbolo per la campagna di affiliazione del 1943 l'immagine di un'aquila con apposto sul petto un grande scudo crociato. La storia dello scudo crociato, dunque, è la storia di un simbolo di matrice guelfa, espressione di una parte minoritaria del partito dei cattolici eppure in grado di rappresentarne l'intera anima.
Un simbolo che assomma valenze politiche e insieme religiose, evocando un immaginario medievale radicato in una larga fascia della popolazione italiana. Un simbolo reso più efficace dalla compresenza di due elementi strutturali, lo scudo con la corce rossa in campo bianco, espressione di quel concetto di "guerra santa" o comunque di "guerra giusta" che costituisce una delle sintesi più forti e suggestive della cultura cristiana, e lo slogan "libertas", che presenta valenze maggiormente laiche ed immediate. L'elemento meta-storico dello scudo crociato, insomma, con un elemento di attualizzazione politica, quella parola libertà che risuona in tutta la sua urgenza nel primo come nel secondo dopoguerra.
Una carica semantica composita e potente, quella dello scudo crociato, che costituisce una delle ragioni fondamentali del suo successo politico. Una carica semantica, però, che proprio per la sua natura esplicita ed evocativa si rivelerà fatale negli anni '90 quando - in un contesto politico e sociale profondamente trasformato, nel quale l'appello alla libertà suona in qualche modo superato dal crollo del muro di Berlino e nel quale la società risulta ormai incamminata verso una sempre maggiore secolarizzazione - il segno dello scudo crociato costituirà un fardello troppo pesante e inattuale per un'area politica centrista e moderata che ha in parte smarrito la sua originaria vocazione cattolica.

Nino Luciani, Sulle motivazioni dei partiti: partiti del buon governo e partiti d'affari. Finanziamento pubblico  e  magistratura speciale per i partiti, a garanzia dell'equilibrio costituzionale tra i tre grandi poteri dello Stato e per la tempestività delle sentenze.

Sommario: 1.- Democrazia diretta e democrazia rappresentativa: ruolo dei partiti. 2.- Sulla significatività dei programmi dei partiti. 3.- Sarebbe possibile la unanimità su molte decisioni ? Distinzione tra bisogni privati e bisogni pubblici. Sul concetto di "bene comune" dei cattolici. 4.- I partiti, quali associazioni private, sono "capaci" di funzioni pubbliche ? Il sistema partitico più vicina alla democrazia diretta. Elezioni primarie . Sulla qualità dei candidati. 5.- Il finanziamento pubblico dei partiti è necessario per il buon funzionamento del partito ? Una magistratura speciale
a garanzia dell'equilibrio costituzionale tra i tre grandi poteri dello Stato e per la tempestività delle sentenze.

1.- Democrazia diretta e democrazia rappresentativa: ruolo dei partiti.

Secondo il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica1, par. 413 , "I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità . Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale". Secondo la Costituzione della Repubblica Italiana, art. 49, "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale In queste fonti normative, il ruolo dei partiti è di organizzare la partecipazione della società civile alle decisioni pubbliche, di norma, mediante forme di rappresentanza , costituite da persone del partito o proposte dal partito. Ma nella storia delle dottrine politiche, ci sono state: - le idee secondo cui il potere viene da Dio (creatore e intelligenza massima). In questa visione paternalistica: la persona che riceve la investitura da Dio (magari tramite un profeta, un vescovo, un papa) interpreta i bisogni della società civile e provvede a soddisfarli; - le idee secondo cui il potere viene dal popolo, in modo più o meno ristretto o ampio, a seconda delle varie culture dei popoli; in particolare, a seconda della espansione della scuola di massa e della informazione di massa. I social media sono il ritrovato ultimo della comunicazione di massa. In questa seconda visione, si ipotizza un dualismo: da una parte la società civile (o i suoi rappresentanti), con determinati bisogni (lato domanda); da altra parte, il partito che ha il compito di provvedervi (lato offerta). Costituzionalmente parlando, il parlamento è il lato domanda; il governo è il lato offerta. Nella democrazia moderna la sovranità appartiene al popolo e il partito è uno strumento della democrazia di massa. Il popolo esercita la propria sovranità: decidendo gli obiettivi pubblici (su proposta del partito) e ne controlla la attuazione . C'è, poi, il fatto che la intelligenza media è relativamente bassa e anche la cultura è molto diversificata (pur con la estensione e gratuità della scuola pubblica), e l'allargamento della base decisionale non necessariamente produce le migliori decisioni. Anzi nella gran parte dei casi, apparirebbe che il votante identifichi lo stato generale di benessere della società civile (che non conosce) con il suo stato personale (che conosce).
  La democrazia diretta2 è il caso ideale di un sistema politico nel quale i cittadini votano direttamente tutte le leggi. Essa è, tuttavia, impossibile in pratica, a causa delle numerose decisioni da prendere e della conoscenza tecnico-professionale necessaria. Nessuno potrebbe svolgere questo compito pubblico e provvedere anche alle proprie necessità private. Il caso possibile è, infatti, la democrazia rappresentativa, secondo un principio di specializzazione nel riparto dei compiti. Esiste un caso di democrazia rappresentativa, il più vicino alla democrazia diretta ? Rinvio a più avanti. Considerato che la democrazia rappresentativa implica di fatto la sostituzione del popolo come decisore diretto in tempo reale, essa è ri-definibile una "dittatura approvata dal popolo", mentre la dittatura in senso stretto è quella che si regge per forza propria con strumenti propri. In generale le regole fondamentali della convivenza sono definite in una Costituzione, che di solito è scritta. L'Inghilterra è noto per avere una Costituzione orale. Nella Costituzione, di solito sono create norme primarie o costituzionali; e norme secondarie o di attuazione. Le norme primarie hanno carattere molto generale e coincidono con il pensiero identitario di un intero popolo. Di norma esse sono approvate alla unanimità. Invece quelle secondarie sono approvate a maggioranza, sia pure con quorum differenziati. Tra le norme costituzionali sono rilevanti la indicazione dei grandi poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e quelle per la verifica del grado di aderenza delle decisioni del governo ai desideri effettivi della società civile, come le norme secondo cui : - le elezioni politiche devono avere luogo a scadenze predeterminate (5 anni in Italia), o sulla richiesta di un determinato numero di persone. - e la durata delle legislature non possa essere inferiore a determinati numeri, come quello degli anni necessari per progettare e decidere progetti di medio - lungo termine strategici (es., una autostrada nazionale).

2.- Sulla significatività dei programmi dei partiti.
Per il conferimento del mandato di rappresentanza, si potrebbe ipotizzare che esista una pluralità di partiti con programmi differenti, tra i quali il pubblico scelga. In questa pluralità delle proposte, i partiti hanno un senso se i diversi programmi hanno contenuti "significativi", per una scelta appropriata, così da originare dei partiti identitari, nei i cittadini possano riconoscersi, rispettivamente. Ma il problema va posto, non in astratto, bensì in riferimento ai bisogni propri dello Stato e degli Enti locali (non solo bisogni materiali, anche bisogni spirituali e religiosi, a seconda della storia dei vari popoli). Lo Stato è un ente territoriale a fini generali, per cui teoricamente ogni programma dovrebbe contenere soluzioni per problemi di ogni tipo. In pratica ogni partito ha una propria visione dello Stato, che può essere restrittiva o estensiva. Nel sistema comunista, lo Stato si occupa di tutto, ed è proprietario dei mezzi di produzione. Nel sistema liberale, la proprietà è libera, esclusa quella a se riservata dallo Stato per i bisogni pubblici e i servizi sociali di massa (scuola, sanità, pensione sociale..., ambiente). In generale, tutte le economie sono miste di Stato e Mercato, e questo comporta un diverso grado di libertà economica: pertanto un elemento identitario significativo del programma è la indicazione del grado di mistione pubblico/privato. Altri elementi significativi sono il grado di libertà di politica , di religione e di pensiero, anche a mezzo mass media. In ogni caso, tuttavia, su ogni visione sovrasta il criterio decisionale, che è principio della maggioranza e della minoranza, come criterio costituzionale di decisione. Ne deriva che, per decisioni possibili, il numero dei partiti identitari non dovrebbe poter superare un determinato numero critico, oltre il quale le decisioni a maggioranza sono difficili o impossibili,. In generale, in una società civile molto diversificata (è il caso delle numerose popolazioni regionali, in Italia) la rappresentanza su base proporzionale pura è oggettivamente un ostacolo grave alla presa di decisioni, salvo che siano imposte costituzionalmente delle strettoie che "vincolano" ad un compromesso tra le diverse vedute. In queste condizioni, il "voto di scambio" trova un terreno fertile. Ad esempio, due minoranze si accordano per votare entrambi i rispettivi due programmi e fare maggioranza. Il Card. di Bologna Carlo Caffarra, in una dichiarazione pubblica, disse non corretto il voto di scambio: in quanto nessuna delle soluzioni, diversa rispetto ad altra, risponderebbe al requisito di avere una maggioranza assoluta propria, e dunque rispondente al criterio decisionale. Il modo di realizzare la libertà politica, compatibilmente con la capacità decisionale a maggioranza assoluta omogenea, potrebbe essere qualche vincolo tecnico-costituzionale suppletivo. Ad es., ammettere il finanziamento pubblico solo ai partiti che hanno determinati requisiti. Ma andiamo per gradi.

3.- Sarebbe possibile la unanimità su molte decisioni ? Distinzione tra bisogni privati e bisogni pubblici.
Sul concetto di "bene comune" dei cattolici. Il bene privato è un bene individuale posseduto dalle persone in modo esclusivo e differenziato, per bisogni privati. I bisogni privati (di persone singole, società ...) sono soddisfacibili mediante decisioni volontarie delle singole persone, e quindi gli accordi realizzano gli interessi di tutti i contraenti, sia pur "diverso" dal proprio rispettivo punto di vista e in quantità diversa, a secondo della diversa capacità contrattuale. Ad es., nel caso di un problema di salute, la capacità contrattuale del malato , nei confronti del medico, è relativamente inferiore, per cui il medico potrebbe chiedere un pagamento spropositato, e questo è il motivo per cui questa attività produttiva è spesso assunta dallo Stato. Il bene pubblico, una volta offerto dallo Stato in una determinata quantità, è disponibile per tutti in modo indifferenziato . I relativi bisogni pubblici (dello Stato e degli Enti locali territoriali), a causa dei costi che comportano, sono, invece, soddisfacibili con decisioni coercitive perchè, rispetto alle persone o ai gruppi, avvantaggiano alcuni e danneggiano altri per loro natura. Per una decisione di "fare", il requisito economico è che i vantaggi superino gli svantaggi per la società civile nel complesso. Per questo, la loro attuazione si fonda necessariamente sulla coercizione. Nel caso delle decisioni a maggioranza , la maggioranza si impone alla minoranza, e dunque per definizione i votanti di maggioranza sono più soddisfatti di quelli di minoranza. Alcuni esempi tipici sono di aiuto a spiegare la natura conflittuale delle scelte pubbliche. - Nel caso della scuola pubblica, un povero potrà andare a scuola, se un ricco paga anche per lui. - Nel caso di un lampione sulla strada pubblica, i vantaggi sono diversificati a seconda della distanza dal lampione, ma non puoi differenziarne il beneficio in modo da differenziare i paganti dai non paganti, perchè non c'è il modo di separarli e, se interrogati, qualcuno potrebbe non dire il vero (potendo comunque beneficiarne). - La creazione di una linea dell'autobus, che attraversa un quartiere, avvantaggia i residenti in modo diverso. Per accontentare il maggior numero di persone, la linea potrebbe passare nel mezzo del quartiere, ma i residenti all'esterno saranno meno soddisfatti di quelli che abitano al centro. Su questa base non può esistere il contratto sociale "volontario", ossia fondato su una unanimità di consensi, in quanto di norma esiste solo la prevalenza di alcuni su altri, vale dire di una maggioranza su una minoranza, sia pure con una distanza numerica che può essere minimizzata mediante approssimazioni successive. Il criterio ottimale è che l'interesse realizzato, collettivo, sia quello maggiore tra alternative, vale dire (posto, come di solito si assume, che l'utilità marginale dell'intervento a favore sia decrescente e la disutilità marginale dell'intervento a danno sia crescente) al margine il vantaggio e il danno devono risultare bilanciati. I benefici e i danni non sono omogenei. Pertanto, per un confronto razionale, è necessario il giudizio di "un terzo" che valuta e confronta omogeneamente il beneficio e il danno, dal proprio punto di vista. Sono logicamente ammissibili tanti giudizi. In democrazia, questo "terzo" è, per definizione il governo, scelto da una maggioranza. La minoranza subisce la decisione della maggioranza. Ma i beni pubblici sono tanti e quindi le maggioranze a favore di determinati beni possono invertirsi rispetto ad altri beni. In conclusione la natura dei beni pubblici porta ad una società civile naturalmente divisa: quella della maggioranza e quella della minoranza. E siccome, per i vari problemi, le maggioranze e le minoranze possono invertirsi, nel complesso il sistema democratico conviene a tutti. Inoltre, per le decisioni, molti non votano o votano in modo indipendente. Chi vive in città o in una fabbrica ha la possibilità di un confronto diretto con le persone e trovare un accordo su come votare. Chi vive in campagna l'ha meno e quindi di solito i voti di maggioranza sono di quelli chi vivono nei grandi centri, o dei lavoratori delle grandi fabbriche. Ma oggi l'informatica ha ribaltato le possibilità di un confronto diretto tra tutti i membri della società civile. In questo senso, nel diritto pubblico, quello che è definito il "contratto sociale" non è una cosa volontaristica in senso stretto, come nel diritto civile. Diciamo che per i bisogni pubblici non esiste contratto, ma un "trattato sociale", un accomodamento tra le parti sociali, che rende vantaggiosa la convivenza civile, in complesso. Nella chiesa cattolica di base, c'è un concetto di "bene comune", definito come una "summa di prestazioni", commissionata (per la società civile) ai cristiani impegnati in politica. Precisamente, tra le cose da fare, la priorità è garantire ad ogni cittadino un elenco di beni e servizi: tra questi anzitutto la "disponibilità della vita", lo "Stato" e via via, rientranti nei cosiddetti "valori non rinunciabili" ... atti a procurare la "beatitudine" di ogni persona e sia pur con qualche differenziazione se ci sono anche esigenze personali siano diverse. Volendo un accostamento tra i beni pubblici, offerti dallo Stato, e il "bene comune" dei cattolici, i primi sono il bene comune dello Stato, definito come l'insieme delle prestazioni offerte dallo Stato eche, secondo il giudizio dello Stato, realizzano il massimo di benessere per la società (come somma di vantaggi ad alcuni cittadini e di danni ad altri); invece il "bene comune" dei cattolici contiene solo la componente positiva (vale dire, manca il costo).

4.- I partiti, quali associazioni private, sono "capaci" di funzioni pubbliche ? Il sistema partitico più vicina alla democrazia diretta. Elezioni primarie . Sulla qualità dei candidati.
  In Italia, i partiti sono associazioni volontarie, di diritto privato, e svolgono un ruolo pubblico (perchè devono soddisfare bisogni pubblici). Sulla compatibilità dei due ruoli "privato" e "pubblico", una chiave interpretativa ci viene ata dalla Scuola di Public Choice3 . Secondo questa scuola, i partiti sono mossi primariamente dall'interesse loro privato; e secondariamente dall'interesse pubblico, in analogia alle imprese private che sono mosse primariamente dalla ricerca di un profitto e secondariamente dalla realizzazione di una produzione per il mercato. (In altri termini, la "produzione" è strumento rispetto all'obiettivo "profitto"). Questa tesi non è un giudizio morale, nè di alcun tipo, ma solo una constatazione provata da ricerche nei vari Paesi In modo analogo, secondo la scienza economica (rinvio al fondatore A. Smith), l'imprenditore è mosso dalla ricerca di profitto, che tende a massimizzare, realizzando una produzione per il mercato; e questa è funzionale al profitto. Intorno a queste constatazioni (non a giudizi si valore), che (per certi versi) assimilano i partiti alle comuni "imprese d'affari". nella economia c'è da gran tempo un dibattito sulla compatibilità dell'interesse privato dell'imprenditore con quello dei cittadini consumatori, e ci sono delle soluzioni per armonizzare l'interesse privato dell'imprenditore con quello generale della società civile (come sul grado di concorrenza, o sul grado di monopolio... perchè l'interesse privato e generale siano armonici; e sul necessario grado di regolamentazione dello Stato ).

Su questa falsariga, si pone una analoga problematica nei confronti dei partiti, "imprese d'affari" in campo pubblico. La soluzione migliore è quella di realizzare condizioni per cui la società civile sia messa sullo stesso piano del partito, così come la famiglia sullo stesso piano dell'impresa, in modo che la capacità contrattuale non sia sbilanciata a favore di uno dei due. In generale, la produzione ha un senso se soddisfa i bisogni delle famiglie, come indicati dalle famiglie, il più possibile direttamente, non con la interferenza oppressiva del produttore (ad es., con modi pubblicitari forzosi). Cosa garantisce che il programma approvato dagli elettori sarà attuato dal partito ? Dal punto di vista etico, il "bene" e il "male" stanno in tutti gli uomini; e la prevalenza dell'uno o dell'altro dipendono dagli strumenti di salvaguardia. Sono strumenti di salvaguardia il tipo di educazione avuta e i premi o i castighi inventati dalla società civile a favore del bene o contro il male. Quali gli strumenti più appropriati per le scelte pubbliche ? E' un fatto che generalmente e ovunque la stima dei partiti è molto in crisi, nella valutazione comune, per cui la armonia tra partito e popolo è molto imperfetta per la natura delle cose di massa. Il criterio dovrebbe essere il medesimo che nel mercato, in cui l'utente valuta il prodotto e, se conveniente, ordina e paga: in questo senso, anche la sovranità popolare dovrebbe essere esercitata, senza troppi combattimenti sociali. Il modo dovrebbe essere quello della sostituibilità relativamente "facile" dei partiti, al governo (sia pure a determinate scadenze), in caso di inadempienza. Il relativo modo dovrebbe essere: a) Dal lato domanda, dovrebbe essere possibile determinare, con elezioni di una maggioranza che governa, e una minoranza che controlla; b) dal lato offerta, di poter determinare l'alternanza tra i grandi partito al governo, alle scadenze elettorali.

Nel primo caso, la possibilità di scelta tra due soli partiti è lo scenario più vicino alla democrazia diretta; e lo scenario più lontano è quello del sistema multipartitico. Il motivo è che, la scelta solo tra due partiti: a) realizza il massimo di consenso su una scelta aggregata, in quanto esso è quantificato rispetto a due sole possibilità; invece nel secondo caso il consenso di fraziona rispetto a molte scelte. b) crea una situazione per cui la distanza dei voti, tra i due partiti è, di norma, è di pochi voti, e questo rende facile la invertibilità della maggioranza e della maggioranza nelle elezioni successive. Questo fa sì che i partiti abbiano molto rispetto per gli elettori. Invece, nel sistema multipartitico gli elettori hanno una importanza "frazionata", a priori, e svuota il rapporto diretto tra cittadini e i rappresentanti eletti. Come pervenire ad uno scenario con la sola possibilità di due scelte ? Una via è il meccanismo delle elezioni primarie per fare le candidature, da riservare a tutti i cittadini iscritti in determinati registri pubblici. Una prima via è eleggere direttamente il capo del governo. a) Si parte dalla fattispecie tipica è che sia ammesso il voto tra più partiti, illimitatamente, che propongono un rispettivo candidato.. Dopo la prima votazione, si la graduatoria i partiti, per ordine decrescente dei voti riportati. b) Si passa ad una seconda votazione, dopo avere scartato i candidati con voti inferiori ad una determinata soglia. c) Dopo varie votazioni, si perviene ad individuare, poniamo i primi due partiti con più voti... Una seconda via è eleggere il capo del governo in parlamento, dove ci sono partiti senza alcun limite, collegati con dei rispettivi candidati. Un modo alternativo al bipartitismo è il bipolarismo (più partiti aggregati in due soli gruppi di partiti): uno destinato ad essere di maggioranza e l'altro di minoranza. Nel caso della legge elettorale , dei Comuni in Italia, al termine delle votazioni, i partiti collegati con il candidato sindaco vincente costituiscono il gruppo d maggioranza, tutti quelli collegati con gli altri candidati (non vincenti), costituiscono i gruppi di minoranza. Tuttavia, questo meccanismo non genera "una minoranza", ma più minoranze, per cui queste non sono naturalmente di alternanza alla maggioranza, nelle successive elezioni. Un aspetto non irrilevante è il possesso dei requisiti professionali dei candidati. Circa la qualità dei candidati, si deve prescindere dal possesso della laurea ? Sia chiaro che Dante Alighieri (e così molti altri) è "Dante Alighieri" anche senza la laurea. Il possedere una laurea dovrebbe essere sua titolo di precedenza, ma possano essere ammesse eccezioni in casi significativi evidenti, di preparazione professionale (il dirigente di una impresa di successo ?) .

5.- Il finanziamento pubblico dei partiti è necessario per il buon funzionamento del partito ? Una magistratura speciale a garanzia dell'equilibrio costituzionale tra i tre grandi poteri dello Stato e per la tempestività delle sentenze ? L'obbligo della verbalizzazione delle riunioni degli organi ?

Finanziamento pubblico ? Il fare attività politica ha un costo ed è di interesse pubblico che i partiti non siano indotti, con qualche giustificazione privata, a finanziarsi in modo illecito, a carico dello Stato (affidare un'opera pubblica a chi versa un contributo al partito, o al capo partito)4 . E ci sono anche i casi prevalenti dei partiti che agiscono per vantaggi personali e strumentalizzano la Pubblica Amministrazione per catturare il consenso (dare il posto nella P.A. a chi da il voto al partito) La surriportata visione della scuola di public choice, nei confronti dei partiti, non un caso estremo, degli USA, in cui il finanziamento dei partiti è privato. In Italia ci sono stati processi giudiziari che avevano per oggetto l'auto finanziamento dei partiti sotto forma di "provvigioni" sulla spesa pubblica per le grandi e piccole opere pubblica. Sono necessità il finanziamento pubblico del partito, la regolazione pubblica degli appalti, il concorso pubblico per le assunzioni nella Pubblica Amministrazione. Mi fermo sul prima argomento. Finanziamento pubblico. Questo aspetto è stato discusso qualche anno fa (2012) da un Gruppo di lavoro per un codice etico del cristiano impegnato in politica5 , e le raccomandazioni sono state: " Il finanziamento pubblico dei partiti (associazioni di diritto privato, secondo la Costituzione Italiana) non va ammesso a carico del bilancio dello Stato e di Enti pubblici. Esso va ammesso in forma volontaria con la sottoscrizione del 5 per mille del versamento IRPEF, con liberalità di persone private e di imprese giuridiche private purchè iscritte in bilancio e approvate dai soci della persona giuridica sia italiana sia non italiana. L'atto di liberalità della persona privata e giuridica puo' essere ammessa in detrazione nell'imponibile nella dichiarazione dei redditi. Il buon fine del finanziamento va rendicontato e comunque reso pubblico". Per una soluzione che non induca il partito a farsi giustizia da sè, occorrerebbe definire le attività del partito, riconoscibili di interesse pubblico e quindi da remunerare. Il caso degli amministratori dei condomìni degli edifici, è a metà strada tra l'attività privata di beneficenza (dove si trova il caso di condòmini che lo fanno gratis, secondo un turno); e quello di persona esterna retribuita. In questo secondo caso, la retribuzione consiste in una somma fissa (proporzionata al numero dei condòmini) e in una percentuale del valore di eventuali opere di manutenzione straordinaria. E' vox populi che la percentuale induca l'amministratore a fare opere, anche se non necessarie; se, invece, non c'è la percentuale, l'amministratore trascura l'edificio. La soluzione più attuata è alzare la cifra fissa, abolire la cifra variabile, e tenere alzata l'asticella delle scadenze del mandato all'amministratore.

Consideriamo questo secondo caso, per poi adattarlo alla Pubblica Amministrazione dello Stato. Nel caso dei partiti, si potrebbe caricare sul bilancio dello Stato: a) la fruizione della TV pubblica per tutti i candidati, per un determinato numero di ore, significativo; b) il finanziamento pubblico di una struttura amministrativa "minima essenziale" dei partiti che hanno un numero di iscritti superiore ad una determinata soglia ; c) permettere la deduzione fiscale delle liberalità dei privati, a favore dei partiti; d) permettere il versamento, ad un partito, di una quota dell'imposta personale sul reddito; d) stabilire l'obbligo di pubblicazione dei bilanci dei partiti

Una magistratura speciale per I partiti ? Considerato che oggi lo Stato è molto presente nei rapporti sociali (un indice ci viene dal peso della "spesa pubblica" in termini di PIL: 50%) i casi di violazione della legge sul finanziamento dei partiti sono abnormi. Ne deriva che il potere giudiziario ordinario viene ad acquisire un potere enorme di controllo della classe politica. Questa situazione può alterare, storicamente, gli equilibri tra i grandi poteri dello Stato. In particolare non dovrebbe essere permesso, in nessun caso, al potere giudiziario ordinario, ossia non avente una conoscenza specifica del mondo politico, di sottomettere il potere politico, sostituendosi alla sovranità popolare. Per questo andrebbe istituita una magistratura speciale per le violazioni della legge sul finanziamento dei partiti, come esiste già per i reati fiscali.
C'è, poi, un aspetto singolare: che in politica la denuncia di illegittimità è arma di lotta politica, magari per distruggere la reputazione di un concorrente o l' arma di un partito di governo per distruggere un  partito concorrente.
  In questi casi è determinante la tempestività delle sentenze. Ma la tempestività non è una virtù della magistratura ordinaria.

Obbligo di verbalizzazione delle riunioni degli Organi Collegiali ? Il fatto che nell'ordinamento italiano i partiti siano "associazione non riconosciute" ha fatto sì che gli statuti possano prevalere sulle norme del codice civile. Sta di fatto che essi possano non fare i verbali delle riunioni degli organi collegiali e aprire, di fatto, alla legge della giungla, nel dopo riunione.
Sarebbe opportuno che la legge intervenda a mettere alcuni vincoli agli statuti, circa il recepimento di norme di comune correttezza di comportamento, quale l'obbligo di verbalizzazione delle riunioni degli organi collegiali e di pubblicità interna.
__________________

1. http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html, par. 413.
2. N. Luciani, 1998, "Comunicazione interattiva, scelte pubbliche, stampa elitaria e democrazia diretta". ("Interactive communication, public choice, print elitist and direct democracy), Scientific Communication at Session 5.B: "Constitutional Rules of Direct Democracy" of the international meeting "Constitutional Issues in Modern Democracies", University of Messina, Sept. 25-27, 1997. Published in revew" Economia, Società Istituzioni", LUISS, Rome 1998, pp. 42. Ripubblicato in: http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf. , p. 542 e ss.
3. J.M. Buchanan - G. Tullock, The calculus of consent, Ann Ar, MI, University of Michigan, 1962; J.M. Buchanan, Stato, mercato e libertà, ed. Il Mulino, Bologna, 1989.
4. Segnalo un progetto di legge, pendente attualmente in parlamento: http://www.impegnopoliticocattolici.bo.it/Stefano%20Ceccanti,%20Il%20testo%20della%20riforma%20finanziamento%20partiti.pdf .
5. http://www.universitas.bo.it/CODICE%20ETICO%20testo.pdf

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LETTERA ai vescovi

Eccellenza Reverendissima,
d’accordo con gli altri membri del comitato organizzativo (poichè riteniamo molto importante la presenza dei Vescovi, come Pastori) desideriamo invitarLa al Convegno in oggetto.
Questa iniziativa si inserisce in un lungo percorso che ha come obiettivo la costruzione di uno strumento per realizzare l'unità dei "Cattolici e non Cattolici con uguali valori" nel parlamento italiano. In questo percorso :

1.- Una prima tappa è stata la costruzione di un Codice etico del cristiano impegnato in politica.
Quel codice fu fatto a Bologna, Canonica di S. Petronio da un Gruppo di Docenti universitari, in comunicazione con l’Ufficio Pastorale Problemi Sociali e Lavoro della CEI, e infine da questo
girato “senza rilievi” al Segretario Generale della CEI. Abbiamo, poi, presentato il Codice medesimo a Bologna nel 2015.
In quella occasione si decise di procedere con la ricostruzione giuridica della DC, ma senza fare un partito aggiuntivo.

2.- Ci fu, poi, una seconda tappa, nella quale il Tribunale Civile di Roma designò “uno” per la convocazione della DC (presunta sciolta nel 1994) il 25-26 feb. 2017, per la ricostruzione degli Organi, tutti decaduti nel frattempo. Trova allegato il Decreto del Tribunale.
Questa nuova tappa si è conclusa il 14 ott. 2018 con un congresso, con il quale sono stati ricostituiti gli Organi centrali.

Nota. E’ forse superfluo segnalarLe che l’uso del nome e del simbolo DC in recenti elezioni regionali è una “coda” legata all’idea che la vecchia DC fosse stata sciolta. Ma queste cose saranno chiarite a suo tempo.

3.- Adesso è in atto la seconda fase del nostro itinerario e vogliamo tradurre fedelmente il mandato dei Vescovi recentemente intervenuti in modo pubblico: Federare tutti i partiti e associazioni della diaspora DC" e comunque riconducibili a un programma politico ispirato ai principi cristiani.

4.- In questa seconda fase, ci sono alcune pregiudiziali, in quanto non si può fare finta che i PARTITI non siano molto screditati in Italia, per cui ci sono alcune pregiudiziali da superare:

a) La prima concerne una discussione sulla motivazione dei partiti, alla luce della scomparsa di partiti storici italiani (DC, PCI, PSI, PLI, PRI...), anche in seguito a interventi della magistratura.

b) La seconda è risolvere il problema della formazione dei politici. Un tempo i grandi partiti storici avevano delle proprie scuole di formazione. Ultimamente un VESCOVO ha invitato a costituire delle scuole per la formazione di catoni disposti ad impegnarsi in politica;

c) Una terza pregiudiziale è quella dei requisiti professionali per fare politica. Il Fascismo dispose un minimo:"Saper leggere e scrivere". E' venuto il momento di aggiornare questo minimo ?

5.- L’ipotesi in sottofondo del convegno è, tuttavia, che il bene e il male stiano in tutti noi per cui,  più che il problema di far fare, ai partiti, progetti per il bene comune (che pure serve), c’è quello degli strumenti di salvaguardia per far prevalere il “buongoverno”.

Questi classicamente sono l’orientamento dei votanti :
a) verso il partito di identità personale, nella massima unità;

b) e verso l’alternanza tra i grandi partiti, al governo, nelle scadenze elettorali.
In questo senso la fase successiva dovrà essere la costruzione degli strumenti di salvaguardia.
       Trova allegato il programma del convegno.

  Con ossequi.

Bologna 5 marzo 2019


NINO LUCIANI

 

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Il BENE COMUNE nel MONDO CATTOLICO

 

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Gabriele Cantelli

Dal Vescovo Matteo Zuppi di Bologna:

"Che il 2 giugno 2018, si levi in ogni parrocchia
un  "TE DEUM PER LA PATRIA"

Lo Stato è un bene comune ?

G. Cantelli, In margine a nuove teorie
sul bene comune, nella Chiesa Cattolica

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Matteo Zuppi

Nino Luciani, Nota. 1) Il "bene comune" è divenuto una specie di sicurezza sociale "cristiana" che la Chiesa Cattolica di base commissiona al cristiano impegnato in politica. Precisamente egli deve fare il "bene comune".
Il "bene comune" non è un particolare bene, ma un elenco di beni e servizi da procurare a tutti (e con differenziazioni per bisogni particolari) : quali la "disponibilità della vita", lo "Stato" e in generale, i beni e servizi funzionali a "valori non rinunciabili",  atti a procurare la "beatitudine" di ogni persona. La classificazione di un bene, come bene comune, è fatta in relazione al rapporto tra l'uomo e Dio, padre comune di tutti gli uomini e che provvede a tutti.
  Il bene privato è, invece, un bene individuale, posseduto dalle persone in modo esclusivo e differenziato.
  Il bene pubblico è, a volta, un bene offerto gratuitamente e indifferenziatamente (a tutti) dallo Stato, secondo la valutazione dello Stato. I beni pubblici sono conflittuali, nel senso che il provvedervi avvantaggia qualcuno e danneggia qualcun altro. Ad es., c'è chi è beneficiato e ciè chi paga (senza controprestazione almeno equivalente). E dunque il via libera a produrli dipende dal fatto se essi avvantaggiano la società civile nel suo complesso (in quanto la somma algebrica di valori positivi e negativi dà un saldo positivi).
2) C'è in parallelo una definizione di bene comune, secondo l'economia e, più specifica, secondo la scienza delle finanze. Essa è fatta per rapporto agli interessi personali dei politici e all'interesse generale, nel produrre i beni pubblici.
  Qui, il presupposto è che la importanza dei beni e servizi dipende dalla entità dei bisogni come sentiti dalle persone o dai politci, come interpreti della società civile. Ma questi, siano bisogni secondo individui singolarmente, o secondo individui appartenenti a determinate religioni o filosofie, non sono ridiscussi circa il loro fondamento. Essi sono solo dei "dati" del problema economico privato o pubblico da risolvere.
  Muta, invece, l'ottica del bene comune. La scienza economica ha scoperto che gli imprenditori e i politici mettono avanti, come obiettivi economici, l'interesse personale. E mettono, invece, come conseguenziale l'interesse dei consumatori o l'interesse pubblico. Una volta scoperto questo, la scienza economica studia i vincoli (per gli operatori privati e pubblici) per armonizzare l'interesse privato con quello collettivo.
Dunque non esiste conflitto, per definizione, tra l'economia e la chiesa cristiana, e anche con qualunque chiesa. Invece, nella suddetta classificazione della chiesa cristiana, la economia e la finanza sono oggetto di molte critiche.
  3) Nel caso del Vescovo Zuppi il bene comune preso in considerazione è lo Stato Italiano, per il quale muove una preghiera pubblica a Dio. Ma su questa idea Cantelli ha da fare alcune considerazioni.
  Personalmente, da un Vescovo mi aspetterei che come bene comune fosse indicata la "vita ultraterrena" e il modo come pervenirvi, più che consigli ai "governanti cristiani" in terra senza avere competenze "temporali", e bisognerebbe tener conto del travaglio dei filosofi cristiani nel classificare la "ragione di Stato" o la "laicità dello Stato", rispetto alla etica cristiana.
Non dimentichiamo, poi, il travaglio dei primi cristiani nel separare l'obbedienza a Dio dalla obbedienza all'Imperatore. L'Italia e l'Europa hanno radici cristiane. Ma lo Stato italiano è "cristiano" , così da meritare una preghiera ?

Fonte: Agezia ANSA, 30 maggio 2018 DISCUSSIONI E COMMENTI

Vescovo Matteo Zuppi:

"Desidero che in ogni comunità della Diocesi, al vespro di venerdì 1 giugno o nella giornata di sabato 2 giugno, si canti l'inno di ringraziamento 'Te Deum' e si innalzino preghiere e suppliche per la nostra Patria, chiedendo la grazia di un rinnovato impegno di tutti per il bene comune".

L'inedita iniziativa liturgica è lanciata dall'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, in conclusione di un messaggio per la Festa della Repubblica.

"La festa del 2 giugno - scrive Zuppi - ha quest'anno un carattere particolare: cade nel 70/o dell'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana e della prima elezione del Capo dello Stato.

Spinto dal recente Congresso Eucaristico Diocesano, che ha rinnovato il legame tra Chiesa e Città degli uomini, considerando anche le difficoltà degli ultimi avvenimenti, desidero invitare tutti i credenti a innalzare a Dio un ringraziamento per il tanto che ci unisce e a pregare per il nostro Paese".

Gabriele Cantelli, Il "Te Deum" del 2 giugno per la patria

1.- NON CONTRAPPORRE PAUPERISMO A POPULISMO Leggere sui quotidiani locali di "Un Te Deum per il 2 giugno"(Carlino) o, peggio "Zuppi: Prego per Mattarella e l'Europa"; Anpi in piazza contro i fascismi (Repubblica) e il contenuto degli articoli che seguono titoli altisonanti, non può non indurci ad alcune considerazioni sulla situazione attuale dello Stato, che ha indotto la Chiesa ad ampliare il significato della festa nazionale e, nel contempo, su quella che parrebbe rappresentare una svolta della Chiesa nella realtà attuale.
Per il 2 giugno , l'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi chiedeva vengano inserite due preghiere ai fedeli nel Te Deum, che verrà recitato in tutte le parrocchie: una preghiera per la nostra cara Patria, perché concorra alla edificazione di una vera casa comune in Europa, e una per il Presidente della Repubblica, e i nostri governanti, perché siano sempre attenti ai bisogni dei più deboli e indifesi. Attraverso la agenzia di informazione R.It apprendiamo ulteriori passaggi del comunicato.
  "La festa del 2 giugno ha quest'anno un carattere particolare: cade nel settantesimo dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e della prima elezione del Capo dello Stato. Spinto dal recente Congresso Eucaristico Diocesano, che ha rinnovato il legame tra Chiesa e città degli uomini, considerando anche le difficoltà degli ultimi avvenimenti, desidero innalzare a Dio un ringraziamento per il tanto che ci unisce e pregare per il nostro Paese. Anche se condivido pienamente la preoccupazione di mons. Zuppi (che è in sintonia con la posizione della presidenza della CEI riportate da Avvenire), quanto si sta delineando proprio a livello locale, nella nostra Diocesi, accresce la mia preoccupazione di cattolico impegnato in politica. In particolare, da la Repubblica leggo:"La supplica per la nostra Patria di Zuppi arriva nello stesso giorno in cui della difficile situazione nazionale parla anche don Luigi Ciotti, che parteciperà alla manifestazione "Contro tutti i fascismi", che l'Anpi terrà sabato alle 16 a Palazzo Re Enzo alla quale aderiscono tutta la sinistra del PD e Leu,le associazioni, i sindacati.
"Ben venga un governo, ma che rispetti la nostra Costituzione, dice Ciotti preoccupato per la nostra democrazia pallida e malata e per gli insulti e le minacce a Sergio Mattarella. "Le parole sono azioni e debbono sempre essere parole di vita". Il Sindaco Virginio Merola invita tutti in piazza per riportare "speranza democratica contro fascismi e razzismi".

2.- SUL RUOLO DEL MAGISTERO E QUELLO DEI LAICI Bartolomeo Sorge nella sua "INTRODUZIONE ALLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA" a pag.137, rivolto agli atei devoti, dice:"Nel contesto della "religione civile" si comprendono meglio i rischi che comporta la prassi, instauratasi in Italia dopo la scomparsa della DC e la fine dell'unità politica dei cattolici, per cui la gerarchia tende a gestire in proprio i rapporti con il Governo, intervenendo talvolta su aspetti legislativi di problemi che prima erano lasciati- come è giusto - alla mediazione dei politici.
Certo nessuno può impedire ai vescovi di rivolgersi anche ai responsabili del bene comune , in particolare quando sono in discussione esigenze etiche anche fondamentali, come quelle riguardanti la persona, la vita, la famiglia. E' un loro dovere che rientra nella missione della chiesa di illuminare e formare le coscienze sul piano etico e religioso. Tuttavia i pastori non devono sostituirsi ai laici ai quali spetta la responsabilità di compiere le necessarie mediazioni dai principi alla prassi politica. "Dai sacerdoti- dice il Concilio Vaticano II- i laici si aspettino luce e forza spirituale .Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano aver pronta una soluzione concreta o che proprio a questo lo chiami la loro missione : assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero".
  Più recentemente la Congregazione per la dottrina della fede conferma: " Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete , e meno ancora soluzioni uniche - per questo temporali che Dio ha lasciato al libero responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede e dalla legge morale" . " E' importante quindi, per quanto concerne il magistero, evitare, anche nel tono e la forma, di dare l'impressione che esso voglia "dettare leggi allo Stato" o attentare alla sua laicità. Ciò servirebbe solo ad accreditare ulteriormente l'idea di "una religione civile": Nello stesso tempo, per quanto concerne lo Stato, occorre ribadire che autonomia dalla sfera religiosa non significa affatto autonomia dalla sfera morale, come invece propongono le teorie etiche procedurali , sostenendo una (solo apparente) neutralità del diritto. Perciò, non ha senso ed è fuorviante definire "confessionale" la difesa da parte della chiesa di esigenze etiche , che concordano poi coi principi laici su cui si fonda la democrazia: il rispetto della persona, la libertà, la solidarietà , l'uguaglianza di diritti, la giustizia e la pace. In altre parole, la politica è laica , laici sono i valori a cui essa si ispira, laiche le finalità a cui tende. Pertanto, laiche anche saranno le scelte che i cattolici sono chiamati a compiere in politica insieme a tutti gli uomini di buona volontà e in coerenza con la loro ispirazione religiosa".
                                                                     Gabriele Cantelli

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EDIZIONI   PRECEDENTI - SERVE UN PARTITO SOLO DEI CATTOLICI ?

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Il PAPA , i "CATTOLICI IN POLITICA" e  il "dono dello SPIRITO SANTO"

"SERVE  UN PARTITO SOLO DEI CATTOLICI ? " -  "UN CATTOLICO DEVE FARE POLITICA ?"

- La Domanda di un giovane al papa: "Siamo impegnati nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Come mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale?

- La Risposta del papa: a) "La Chiesa ... riceve il dono dello Spirito Santo... .Non è un partito politico";
     b) "Si sente: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico !”. "Quella non è la strada". Un partito solo dei cattolici non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato;
    b) "Ma, un cattolico può fare politica?" - "Deve !" - "Ma un cattolico può immischiarsi in politica?" - "Deve!" ;
   c)  "Paolo VI ... ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune".

LUCIANI: " Per un laico cattolico, quanto e' vincolante il parere del papa, in materia temporale ?
e quale è la differenza tra il fare politica "senza un partito" e il fare politica "con un partito" ?
Queste domande aggiuntive sono su un piano diverso da quella se "serve
un partito SOLO DEI CATTOLICI ", che è un concetto contraddittorio.

RIPORTATO DA L’AVVENIRE, 1 MAGGIO 2015 (Stralcio)

Un incontro tra amici. Con un dialogo appassionato, con domande e risposte a 360 gradi. È quello che si è tenuto oggi (30.4.2015), in Aula Paolo VI, tra Papa Francesco e i membri della Comunità di vita cristiana (CVX) - Lega Missionaria Studenti d’Italia. Circa 5.000 persone. Di seguito le domande di alcuni partecipanti e le risposte a braccio del Papa. In fondo il testo del discorso scritto che Francesco però non ha letto.
::::::
Gianni: Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla CVX dell'Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell'associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno - specialmente chi è più giovane tra noi - comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera.
   Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie.

Papa Francesco: Credo che questa domanda che tu hai fatto la risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge - non so se è qui: no, non l'ho visto … Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma, si sente: "Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!": quella non è la strada.

La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. "No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici": non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. "Ma, un cattolico può fare politica?" - "Deve!" - "Ma un cattolico può immischiarsi in politica?" - "Deve!".

Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. "Ma, Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto … e alla fine tu non puoi andare avanti …": cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po' martiriale? Sì. Eh sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per quello, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco … ma si fa.

Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Ma, nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi. Ma pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra - alcuni: pensate a De Gasperi; pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione … Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominare più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune.

Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell'ideale, tutti i giorni, con quell'ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché, nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore: ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. "No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare" - "Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e continui avanti!". Ma fare, fare … E proprio lottare per una società più giusta e solidale.

Qual è la soluzione che oggi ci offre, questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l'uomo e la donna: no. Il denaro. Il dio denaro. Questo al centro. Poi, tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo, quello che non serve al dio denaro si scarta. E quello che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta.

Si scartano i bambini perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere; si scartano gli anziani, perché … ma, gli anziani non servono: ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti, no? Ma servono congiunturalmente, no? Ma si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù - non voglio sbagliare, correggimi, eh? - il 40-41% è senza lavoro. Si scarta … Ma questo è il cammino della distruzione.

Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, va lì, fai politica: ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Anche scarta il Creato, ché il Creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quello del Beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. …

NINO LUCIANI, Caro papa, penso addirittura che un partito "solo dei cattolici" sia contraddittorio sul piano logico. Al tempo stesso, rivendico una autonomia dei laici cristiani in politica, ma secondo le regole della scienza politica ...

1.- Premessa. In premessa al mio commento, ricordo che nella visione cristiana della vita (e non solo cristiana), l'uomo è una "unità" di spirito e di corpo, creata da Dio, Padre comune di tutti gli uomini e di tutti gli altri esseri viventi. Il laico cristiano si ispira ai valori spirituali e materiali, meritevoli presso il Creatore.
   In questa visione divengono priorità la comunione con il Creatore e la carità verso il prossimo; ed e' normale che gli individui che sono "primi nella scala sociale" storicamente esistente, possano essere, invece ultimi nella "scala sociale cristiana".
   Rientra nelle priorità il contributo alla "creazione" e al suo miglioramento mediante la ricerca scientifica e l'applicazione dei relativi risultati alle condizioni di vita dell'uomo e alla organizzazione della società civile.
   In una determinata "associazione" con obiettivi ordinati rispetto al Creatore, possono ben coesistere cristiani di diverso orientamento politico-economico-sociale, perché la relativa problematica esula da quella associazione.
  Un partito e', invece, una associazione con obiettivi pubblici ordinati rispetto alla società civile, circa la sua organizzazione, le priorità dei bisogni materiali, determinati diritti (ad. es., diritto di proprietà privata, diritto del lavoro, diritto di impresa, determinate alleanze militari sul piano internazionale... ).
   In questo senso ha ben ragione il papa quando non vede bene un partito "solo di cattolici", perche' essi non potrebbero convivere per obiettivi politici non condivisi. Esso, al più, sarebbe una "associazione confessionale" (con i voti di chi ?), per prendere ordini dal papa, ma che neppure il papa vuole.

2.- Ma il papa dice anche che il laico cattolico "deve" fare politica". Il problema che si pone, subito di seguito, è se un laico cattolico "debba" fare politica senza un partito o dentro un partito (sia pure non di soli cattolici).
  a) Senza un partito ? La Costituzione italiana definisce i partiti come strumenti "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Il presupposto è che in democrazia le decisioni si prendono contandosi, e si prende la decisione che ha la maggioranza assoluta dei voti. E chi pretendesse che sia presa la decisione dei votanti in minoranza sarebbe un rivoluzionario, pur se avesse le idee migliori in assoluto. Ma il caso del papa non è questo (salvo in casi molto speciali).
    Ne deriva che un laico cattolico che pensasse di fare politica senza un partito sarebbe destinato ad essere una "vox clamans in deserto", senza risultati immediati.  Questa non è la strada per fare politica.
   d) Dentro un partito ? Un partito è necessario fare politica che prende decisione, ma va tenuto conto che l'agire frazionatamente in più partiti, pur avendo le stesse idee politiche, è come agire senza un partito.
   Nella storia del progresso scientifico-filosofico è notoria la distinzione (di Carlo Marx) tra il "socialismo utopistico" e "socialismo scientifico". Il primo è proprio dei movimenti che chiedono le riforme sociali in modo spontaneo e individuale, ma che non vanno oltre il ruolo di "vox clamans in deserto". Questo è il caso dei cattolici che operano senza un partito o frazionati tra più partiti pur avendo le stesse idee politiche.
    Il secondo è proprio dei movimenti che coalizzano i richiedenti in modo da sostenere validamente le riforme con una sola voce; e anche di quelli che sono frazionati tra più partiti.
   c) Quanto grande dovrà essere un partito di laici cattolici per poter fare proposte comuni con valore politico ? Non c'è una risposta univoca. Direi però che il criterio sia di realizzare la maggiore unità possibile su obiettivi politici comuni di cattolici e non cattolici, ben altro che un partito monopolizzante "solo dei cattolici".

3.- Dovremo riorganizzare la DC ? La DC fu un partito di cattolici e laici importante per la rinascita economica dell'Italia, dopo il fascismo, e che fu unito finchè ebbe un medesimo programma, di tipo centrista, aperto al sociale; e che si divise quando ebbe due programmi: uno liberale e uno socialista (tale è il senso del lacerante dualismo interno a favore o contro il cosiddetto "compromesso storico con il PCI).
   Quale DC in futuro ? Oggi si pensa ad una DC con un rinnovato codice etico, e che includa i punti in comune con i "non cristiani" (come l'inclusione dei valori liberali propri del sistema politico fondato sulla alternanza tra i grandi partiti (si vegga in USA, in Francia…), e ancorato ai grandi ideali universali delle Nazioni Unite (ONU), in continuità nella storia d'Italia, nel parlamento italiano.
    Nella settimana sociale dei cattolici di Bologna (2004), Tettamanzi (cardinale di Milano) appellò al ritorno dei cattolici in politica, ma non nella forma della DC, quale partito unico dei cattolici. E, successivamente, fu echeggiata via via la formula di Ruini (cardinale, segretario di Stato Vaticano) in favore di apporti personali, dentro molteplici partiti (di ogni tipo), in cui un cattolico si trovasse a militare.
   Oggi diviene inopportuno, da parte dei laici, persistere nel silenzio solo per motivi di rispetto al papa, e si faccia chiarezza.
    Questa esigenza è resa stringente da una sentenza della Corte di Cassazione (dic. 2010) che ha dichiarato che la DC non è stata mai sciolta, perchè l'organo che la dichiarò sciolta non aveva il potere di farlo, e consente ancora a un gruppo di volenterosi di cercare di ottenere dalla magistratura la riorganizzazione della DC.

 

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